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giovedì, novembre 30, 2006

#DISCRIMINARE È UN DIRITTO

Acquistereste qualcosa che non volete? Offrireste il vostro lavoro, la vostra abilità o il vostro denaro per qualcosa che non avete scelto? Spendereste del tempo con qualcuno che non vorreste o non vi piacerebbe conoscere?
Se avete risposto “no” a tutte le domande, allora siete a favore della discriminazione. Discriminare significa fare delle valutazioni, dare dei giudizi, fare distinzioni ed agire conseguentemente a tali scelte. Il diritto di discriminare - di scegliere quello che si accorda con i nostri valori - è un diritto fondamentale. Esso rappresenta la base per scegliere come impiegare il nostro tempo, il nostro capitale e la nostra proprietà, ed è anche ciò che sottende al diritto alla libertà di associazione.

Proprio come abbiamo il diritto di non comperare un bene in un negozio, allo stesso modo il negoziante ha diritto di non venderci la sua merce, se lo ritiene opportuno.
C’è chi rifiuta di bere Pepsi e c’è chi affigge nel proprio ristorante targhe tipo “Si richiede un abbigliamento decoroso”. Sarebbe ingiusto infilare un tubo in gola ad uno che si rifiuta di bere Pepsi per ingozzarlo con l’odiata cola, come sarebbe ingiusto imporre a Gualtiero Marchesi di servire persone che entrano nel suo locale in canottiera ed infradito.
Dunque, dov’è la giustizia nell’imporre a qualcuno di assumere nella propria impresa persone non volute? Se un datore di lavoro non intende assumere persone perchè nere, bianche, femmine, gay, musulmane o zoroastriane, ha il diritto di farlo. Assumere una persona significa acquistarne tempo, manodopera e intelletto, ma se abbiamo detto che si ha il diritto di acquistare solo ciò che si vuole, allora dov’è la differenza tra acquistare un bene non voluto ed assumere una persona non desiderata? Nessuna.
Ovviamente qui non si fa apologia del razzismo, del sessismo o dell’intolleranza religiosa, atteggiamenti che personalmente trovo non solo idioti, ma spesso antieconomici. Soprattutto queste sono tutte questioni che si possono risolvere con la libertà di contrattazione. Il mio intento è solo quello di ribadire che ognuno ha diritto ad operare le proprie scelte ed il dovere di assumersi la responsabilità delle conseguenze che queste comportano (se impedisco ai magrebini di entrare nel mio negozio che si trova in una quartiere ad alta densità di immigrati, poi non posso lamentarmi se gli affari vanno male).
Essere contrari a questo principio significa essere favorevoli all’associazione forzata e l’associazione forzata tra individui assomiglia molto alla prigione. Un’immagine, quest’ultima, che decisamente non si abbina a quella della tolleranza e della fratellanza universale con cui gli “antidsicriminatori” di professione amano riempirsi la bocca.

#M.A.I.

Si sente parlare di grande coalizione o di tavoli dei volenterosi, tattiche che secondo alcuni sarebbero le uniche ragionevoli (si dice così?) e possibili per tentare di riformare l'irriformabile. Chi come me diffida profondamente di tutti gli artifizi demmogradigi-repubblicani, però, farebbe meglio ad appoggiare il M.A.I. (Movimento Anarchico Individualista):



Per un governo dei pigri e degli svogliati
In sintonia con la massima jeffersoniana: "Il miglior governo è quello che governa meno"

CONTRO L'IPERATTIVITA' MINISTERIALE DEL CENTROSINISTRA
CONTRO L'IMPRENDITORIALITA' FACCENDIERA DELLA DESTRA

RIVOLUZIONE!
ELEZIONI SUBITO E NATURALMENTE VOTATE M.A.I.


(da un'idea di Renzo Audisio)

mercoledì, novembre 29, 2006

#DI DESTRA


L'anarchico "right-wing", Joseph Sobran, convertito dal conservatorismo di W. F. Buckley al libertarismo radicale di M.N. Rothbard dice:

Chiedo spesso ai liberals di spiegarmi significato ha per loro “di destra”, una definizione che applicano a tutto ciò che a loro non piace, anche a principi che non hanno niente in comune, come anarchia (l’opposizione allo stato in quanto tale) e fascismo (lo stato senza limiti), o conservatorismo (lo stato entro limiti definiti), per non citare monarchismo, l'oligarchismo, la plutocrazia, il primitivismo, il militarismo, il capitalismo laissez-faire, la teocrazia, il libertarismo, il feudalesimo, il neo-conservatorismo e una miriade di altre cose reciprocamente incompatibili.
Qual è il denominatore comune di tutte queste cose? Come possono essere tutte “di destra” se sono visibilmente in contraddizione tra di loro? Ad oggi, nessun liberal è stato in grado di rispondere.

giovedì, novembre 23, 2006

#L'ASSURDITA' DELL'EMPIRISMO INFINITO

“L'atteggiamento intransigente è sintomo più di un’incertezza che di profonde convinzioni e la posizione implacabile serve più a celare il dubbio che la sua assenza. Se non siamo disposti ad accettare la critica come un’opportunità per valutare e riflettere sulle nostre convinzioni, allora non faremo mai alcun progresso.”

Ci sono due categorie di persone che fanno affermazioni come questa: quelli che lo pensano realmente e quelli che lo dicono ma non lo pensano. Generalmente, entrambi si contraddicono qualche istante dopo aver espresso tali concetti.


Faccio una dichiarazione rivoluzionaria: gli esseri umani agiscono. Ora, questa non è un’affermazione particolarmente controversa ed essa è non solo facilmente dimostrabile nella realtà, ma impossibile da confutare, giacché per farlo si è costretti a ricorrere all’enunciato che si intende negare. Alla luce di questo, a me pare chiaro che possono esserci delle affermazioni che sono vere e che non richiedono la costante prova empirica per stabilire la loro validità.
Scegliere di accettare una critica come opportunità di riflettere su tali verità mi pare perciò abbastanza stupido. Sarebbe forse più utile valutare l’opportunità di erudire chi tali principi ignora.
Come pure potrebbe servire dedicare del tempo a rivelare la pochezza di argomentazioni di chi ritiene che invece queste verità debbano essere continuamente verificate.

Infatti, io ritengo che un simile approccio alla realtà a conduca ad uno scetticismo radicale che compromette la capacità di comprendere le cose.

“Esisto? Beh, sì.”, “Fluttuerò lontano se mi alzo dalla sedia? Mmmhh, no” ,“L'acqua è bagnata oggi? Lo è, tuttavia…”

Che senso ha farsi continuamente domande simili?

L'assurdità di questo atteggiamento è dovuta al fatto poche persone (forse nessuna) riescono ad essere coerenti con lo scetticismo filosofico. Basta fare un po’ di pressing su chi si definisce scettico e si evidenzierà subito che molti fra questi, in realtà, credono irremovibilmente in alcune verità (tipo la soggettività) suscettibili di critica, ma che non sono disposti a verificare continuamente.

Chi sostiene che non possiamo sapere niente per certo cade in una enorme contraddizione: pretende infatti di affermare una verità assoluta che solo perché derivata dall’atteggiamento scettico dovrebbe essere accettata da tutti come il risultato di un esperimento di laboratorio. E si contraddice continuamente quando nella vita non si ferma a verificare ogni affermazione che incontra e lascia che la realtà gli scorra sotto i piedi senza preoccuparsi di confutarla.

Certo, “essere aperti alla critica” può essere inteso nel senso di prestarsi alla obiezioni senza esplodere in una litania di insulti ed accuse, di diversivi e fallacie. Io per esempio ho scelto di essere paziente e dare credito di buonafede ad ogni persona che incontro che si definisce scettica. Ma mi rendo conto di essere molto più disponibile alle critiche di chi sostiene che non esiste una verità oggettiva e che anzi mi accusa di essere assolutista. Io sono preparato a rinunciare alla mia filosofia se qualcuno può provare che è inesatta. Finora non è successo e francamente, non vedo come potrebbe, ma sono altrettanto disponibili gli scettici ad abbandonare la loro?

martedì, novembre 21, 2006

#PER IL LIBERO AZZARDO


Campagna lanciata da Joey Atroce.

#MANIFESTO LIBERTARIO


Sul sito Libertari.Org è possibile scaricare il manifesto del Movimento Libertario - Proprietà e Libertà.

Inutile dire che lo sottoscrivo interamente senza la minima esitazione ed invito tutti i libertari a cui non sfiora nemmeno l'idea di entrare in una cabina elettorale a fare lo stesso. Beh, anche gli altri possono sottoscriverlo, magari la smettono di perdere tempo a scarabocchiare inutili cartacce. :D
(A dire la verità non c'è nulla da sottoscrivere, diciamo che è possibile aderire idealmente).


NÉ A DESTRA, NÉ A SINISTRA LOTTA ANTISTATALISTA!

lunedì, novembre 20, 2006

#INDOVINA CHI


"Sul palco è un vero showman, ha cambiato la legge elettorale, canta, fa le linguacce ai bambini, racconta barzellette, autografa decine e decini di magliette. È dimagrito e usa il botox, la tossina che spiana le rughe. È un animale da campagna elettorale salta da una parte all’altra della scena come fosse un giovane rockettaro. Riguardo agli scandali che lo toccano dice che sono un invenzione dell’opposizione e che sarà il popolo a giudicare. Di chi stiamo parlando? "


Qui la risposta.

#FUZZY BORDERS

Ispirato da un interessante post, di Astrolabio vorrei provare ad esporre, per grandi linee, la mia teoria in merito ai temi affrontati sul suo blog, anche se attraverso una lettura differente e più imperniata sul concetto di realtà.
Spero che la discussione potrà proseguire quando mi deciderò a convertire in post i miei Moleskine. ☺

Realtà oggettiva e realtà soggettiva non sono antitetiche, ma la prima “contiene” la seconda.
La realtà soggettiva è la dimensione delle percezioni in cui quello che "incontriamo" è influenzato dai nostri pensieri. Questo non significa che noi siamo in grado di mutare concretamente la realtà, solo che la interpretiamo secondo il nostro grado di conoscenze.
Le diverse realtà soggettive sono interconnesse tra loro e questo spiega il perché proviamo sentimenti nei confronti degli altri: siamo in grado cioè di vedere altre realtà soggettive che possono piacerci, o meno.
La realtà oggettiva, invece, oltre alle singole realtà soggettive (quindi “oggettivamente soggettive”), contiene il mondo materiale ed i principi primi, immutabili ed immanenti, le so called leggi di natura.
Ragione e processi cognitivi sono i "corridoi" che, dalla realtà soggettva, consentono di raggiungere la realtà oggettiva, quindi la verità. A sbarrare la strada della via alla verità vi sono tuttavia atteggiamenti mentali (soggettivi, incoerenti ed irrazionali) come scetticismo, relativismo ed olismo.
Paradossalmente, tali approcci risultano del tutto inutili in una realtà soggettiva (la sola riconosciuta da chi non crede nella realtà oggettiva) perchè non ha alcun senso "sperimentare" conoscenze che già in partenza sappiamo essere parziali e relative. Insomma, è l’eterna questione: se si è relativisti allora va relativizzato anche il relativismo, se si è scettici si deve dubitare anche dello scetticismo, se si è olistici… la medicina può essere d’aiuto. ;)
Di fatto, questo genere di attitudini nascono principalmente dalla paura: paura di passare per creduloni, paura di commettere errori, paura di vivere stupidamente, PAURA CHE RICONOSCERE IL GENIO DI SAN TOMMASO COMPORTI L’OBBLIGO DI DIRSI CATTOLICI.

Il fuzzy-border, quel confine indefinito su cui le opinioni degli individui sembrano non poter convergere mai, è quell'area di contiguità tra realtà soggettive da dove intravediamo le cose che stanno nella realtà oggettiva, ma, dal "contenitore" in cui tutto è suscettibile di essere condizionato dalle nostre conoscenze, non ne afferriamo completamente la natura (specie se si tratta dei principi primi che, per comodità di figurazione, si potrebbero collocare su un livello più alto rispetto al mondo materiale).
A dire il vero, la natura delle cose ha davvero poca importanza: che i principi primi abbiano origine divina, extraterrestre oppure da radiazioni solari cambia poco, l’importante è riuscire ad individuarli ed affermarli. L’operazione peraltro è molto più semplice di quanto si pensi, i principi, difatti, sono generalmente autoevidenti e solo chi fonda la propria esistenza sul nulla ha grosse difficoltà a vederli.

Per venire all'esempio dell'uomo-tabacco: io mi sentirei di definire Uomo l'essere che possiede tutti i geni umani, non uno di meno. Questo non significa che, ammesso sia in grado di esercitarli, non sia possibile riconoscergli dei diritti. Tuttavia, il problema dei diritti lo trovo fuorviante. Concedere diritti implica la necessità che vi siano delle autorità preposte a riconoscerli. Ma se anziché fondare la libertà sui diritti, la considerassimo come un principio primo oggettivo a cui si accede tramite la ragione, allora, se l’uomo/marlboro ne fosse dotato, potrebbe accedere alla libertà senza bisogno di qualcuno che glielo consenta e soprattutto a prescindere dal suo bagaglio genetico.

venerdì, novembre 17, 2006

#MA CHE BEL GIAVAZZI

Un membro del newsgroup anarchico a cui sono iscritto ha rivolto la seguente domanda al prof. Giavazzi:

Egregio prof. Giavazzi,
qualche sera fa mi è capitato di vederla ospite alla puntata di "Infedele" condotta da Gad Lerner.
In particolare, ha colpito la mia curiosità un suo intervento nel quale sosteneva che chiunque sappia guidare ed abbia gomme buone deve poter ottenere la licenza per poter svolgere un servizio di taxi. Così, ha aggiunto, il compito dello stato dovrebbe essere solo quello di controllare che il beneficiario della licenza abbia questi requisiti minimi di qualità.
Ora, io mi sono chiesto e le chiedo se ogni funzione di controllo di qualità, compresi i requisiti minimi anzidetti, non potrebbero essere svolti più efficientemente dal mercato stesso piuttosto che dallo stato.
Qualche minuto dopo questo suo intervento lei ha infatti accennato all'efficienza che libere associazioni di professionisti potrebbero avere nel garantire la qualità dei propri associati.
Ma queste libere associazioni non potrebbero meglio svolgere qualsiasi controllo di qualità oggi affidato allo stato?
Mi spiego meglio con un esempio.
Se lo stato deve controllare la presenza di requisiti minimi di qualità, significa che vi saranno dei burocrati dotati di un certo potere discrezionale e che quindi avranno il potere di concedere o meno le licenze in base a propri giudizi che potrebbero essere influenzati, ad esempio, anche da fattori diversi dalla qualità in sè (volendo pensare al peggio anche corruzione, scambi di favori, clientelismo). In altre parole, non essendo il rilascio delle licenze completamente automatico, rimarrebbe un certo potere discrezionale in mano al burocrate di turno, mentre l'aspirante tassista potrebbe avere l'interesse ad ottenere la licenza con sotterfuggi atti ad evitargli controlli seri, magari anche corrompendo il burocrate.
Se invece il rilascio delle licenze fosse automatico (ovvero sarebbero aboliti il valore legale e l'obbligo delle licenze) l'utenza potrebbe valutare la qualità del tassista in base alla sua appartenenza a libere associazioni che la garantissero. In questo caso, i tassisti avrebbero tutto l'interesse ad entrare in un'associazione solo se questa garantisse un certo prestigio presso l'utenza, ovvero se controllasse la vera qualità dei propri associati. Questo perchè le libere associazioni, al contrario dei burocrati, sarebbero chiamate a rispondere direttamente al mercato. Se, infatti, ad esempio, un associato dimostrasse di non sapere guidare o di avere le gomme liscie, agli occhi dell'utenza ne risentirebbe il prestigio di tutta l'associazione, con conseguente danno economico per tutti gli associati i quali preferirebbero quindi sottoporsi a controlli più seri in un'altra associazione più prestigiosa.

Spero di non averla annoiata e le porgo i miei più cordiali saluti.
xxxx xxxxxxx


La risposta del professore


Lei e' ancor piu' liberista di me. confesso di esser affascinato dall'idea di togliere di mezzo anche il controllo di qualita' pubblico. Non credo accada in nessuna parte del mondo, ma questo non e' un buon motivo.

fg


Anarcocapitalisti in nuce di tutto il mondo, unitevi (e fatevi sentire).

giovedì, novembre 16, 2006

#POLITICAL CORRECTNESS

A Hollywood, stanno realizzando il remake del classico di Tod Browning, Freaks (1932), la toccante e cruda storia dei fenomeni da baraccone che si coalizzano per torturare e sfregiare ed infine rendere come loro, la ragazza "normale" che, nell'equipe del circo, attirava su di sé tutte le attenzioni. Si trattò di un tentativo come molti di indagare il problematico rapporto fra diversità e normalità.
Ebbene, la vulgata politically correct ha imposto un nuovo titolo per il film, questo:

Disabled Special Little Victims of American Indifference Towards National Healthcare.

Non ci sono parole.

#HOBBES E LA GUERRA DI LIBERTYFIRST

Il lavoro che ha fatto LibertyFirst con 4 post quattro su Hobbes e la guerra è notevole e merita di essere letto con attenzione. Io commenterò dopo averlo fatto, forse dirò qualcosa, magari un pugno di minchiate :), ma pazienza. Per ora non posso che invitare a leggerlo.

mercoledì, novembre 15, 2006

#CONTRO IL NOBEL

Il mese scorso, la Grameen Bank ed il suo fondatore, il banchiere ed economista bengalese Muhammad Yunus, sono stati unitamente insigniti del Premio Nobel per la pace “per i loro sforzi volti a creare sviluppo economico e sociale dal basso”. Il comitato del Nobel per la pace è certamente nel giusto quando afferma che la pace richiede che le popolazioni siano sottratte alla povertà ed è altresì lapalissiano che, come abbiamo visto nei decenni passati, riversando fiumi di quattrini nelle mani di gerarchie politiche corrotte, inefficienti e svincolate da ogni criterio di controllo, tutto si fa fuorché “aiuto allo sviluppo”. Quindi, pur con la diffidenza che mi assale quando sento esprimere concetti tipo “dal basso”, “partecipazione diretta” ed altre amenità eque e solidali, diciamo che si può essere d’accordo con la motivazione data dal comitato per il Nobel all’assegnazione del premio a Yunus e la sua banca.
Ma la Grameen Bank ha contribuito veramente in maniera così decisiva a questo tipo di sviluppo e alla fine della povertà e della guerra nel paese?

Come sappiamo, le cause della guerra e della povertà possono, nella maggioranza dei casi, essere identificate come uno degli esisti delle attività dello stato (a tal proposito mi riprometto di scrivere un post su Randolph Bourne, un anarchico individualista americano, un po’ leftist a dire il vero, ma di quei sinistri che piacciono a me: quelli che vedono nella proprietà la roccaforte dove difendersi dal sistema).
Nel caso del Bangladesh, nessuna eccezione. La guerra di liberazione, che ha condotto alla nascita del Bangladesh nel 1971 e che secondo alcune stime ha fatto tre milioni di vittime civili, è il risultato del colonialismo inglese in India. Dopo che l'India guadagnò l'indipendenza dal Regno Unito, le aree del paese a maggioranza islamica vennero separate per dar vita al Pakistan. Ma il neonato governo pakistano riservò un trattamento peggiore alla zona orientale del paese e questo, in estrema sintesi, scatenò la guerra di liberazione. Raggiunta l’indipendenza dal Pakistan, nei decenni successvi il Bangladesh attraversò fasi di assestamento politico caratterizzate dai soliti colpi e contro colpi di stato, più o meno sanguinosi.
Oggi, alcuni degli ostacoli principali alla crescita economica del Bangladesh sono rappresentati dalle inefficienti imprese statalizzate, dalla lenta implementazione delle riforme economiche, da lotte politiche intestine e dall’immancabile corruzione. L'agricoltura, inoltre, è anche minacciata da assurde leggi sulla proprietà intellettuale delle semenze biotech che favoriscono le corporazioni transnazionali a spese dei contadini locali. Si consideri anche che, come in tutto il subcontinente indiano, anche in Bangladesh la conservazione dei cibi è pressoché sconosciuta e pertanto, di fronte ad una relativamente buona produzione agricola (almeno in potenza), le opportunità economiche che tale attività offrirebbe non sono sfruttate in quanto l’eccedenza del prodotto non consumato viene distrutta (noi italiani, da quel che ricordo, dovremmo essere uno dei paesi maggiormente avanzati sul fronte della conservazione, del packaging e dello stoccaggio… ma forse viene più facile invocare dazi).
Questo dimostra, ancora una volta, come lo stato non possa essere il soggetto adatto in cui riporre fiducia quando si tratta di difendere pace e prosperità.

Ad ogni modo, contrariamente a quanto si dice, la Grameen Bank è un’istituzione che si avvale pesantemente delle sovvenzioni di stato ed i suoi metodi non sono, come uno spererebbe, un alto esempio di sviluppo dal basso.
La Grameen Bank ha ricevuto il suo primo prestito di 3,4 milioni di dollari dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, dell’ONU a cui si sono aggiunte concessioni sovvenzionate dai governi di Canada, Germania, Norvegia, Svezia, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.
Gli alti tassi di rimborso richiesti ai debitori sono conseguiti attraverso metodi che potrebbero essere definiti coercitivi. Funziona pressappoco così: i mutuatari vengono accorpati in gruppi di cinque soggetti indipendentemente dal fatto di essere legati o meno da vincoli parentali o societari. I prestiti futuri vengono concessi solo se ogni membro del gruppo ha ripagato il suo precedente debito.
Questo dovrebbe creare un incentivo per ogni membro ad assicurare che tutti ripaghino i loro prestiti – come faranno a persuadere gli inadempienti è affar loro. E' vero che il tasso per i prestiti successivi al primo sono inferiori ripetto a questo, ma a rendere fin troppo invasiva la cosa è il capillare controllo che gli impiegati della banca effettuano sui debitori.
Questi, infatti, vengono visitati settimanalmente a domicilio dai funzionari anche prima del termine di scadenza per la restituzione, così a mo' di promemoria.

Oltre a questi singolari metodi di “fidelizzazione” dei clienti , i debitori della banca hanno anche l’obbligo di cantare, durante le parate nazionali, le “Sedici Decisioni”, inno che esprime la “worldview” della Grameen Bank. L’inno, che potremmo definire degno di un qualsiasi romanzo distopico, inizia più o meno così: “Daremo il nostro contributo a tutte le attività sociali collettive” e prosegue con altri mantra orwelliani che riguardano l’emancipazione delle donne e dalle famiglie patriarcali. Questo apparente spirito di emancipazione e di indipendenza economica è però contraddetto dalla banca stessa qualora pretende di essere riconosciuta più come oggetto di culto che come istituzione finanziaria.
Yunus e la sua banca, quindi, non rispondono precisamente alla spiegazione del comitato per il Nobel; più che dal basso, infatti, sembra che l’immagine che il banchiere vuole dare di sé e della sua banca, provengano da molto, molto in alto.

Dopo l'assegnazione del premio a Dario Fo, ecco un altro buon motivo per diffidare dei premi Nobel.

venerdì, novembre 10, 2006

#UNIONE COSMOPOLITA

Quella che segue è la traduzione di un articolo apparso su un giornale in lingua tedesca nel 1931.
L'Unione Cosmopolita venne poi sciolta dal regime nazional-socialista ma la cosa curiosa è che, a detta di uno degli autori, anche se l’associazione era esistita per un certo numero di anni, molti componenti del gruppo si mostrarono stupiti quando realizzarono che il suo manifesto sosteneva l’esistenza di più sistemi politici in concorrenza con lo stato.
Insomma, buona parte dei soci dell'associazione davano per scontato che uno stato territoriale avrebbe continuato ad esistere, perpetrando la sua missione di fornitore di disservizi.
La proposta dei Cosmopoliti si innesta perfettamente nell'idea panarchica di Emile De Puydt, idea peraltro implicita nella teoria libertaria rothbardiana.
Ulrich von Beckerath, il fondatore del gruppo, sembra fosse un pensatore ricco di idee, propositivo e costruttivo e questa è probabilmente la ragione per cui è rimasto sconosciuto.


"Chiunque può liberamente aderire all’Unione Cosmopolita. I suoi membri condividono – senza alcuna imposizione personale – le seguenti richieste di base dell’Unione Cosmopolita:


I. Ogni individuo gode del diritto di secessione dallo stato (come il diritto di abbandonare la propria chiesa).


II. I Cosmopoliti (cioè le persone che hanno rinunciato di loro volontà a far parte di uno stato) hanno il diritto di emigrare, stabilirsi e svolgere una attività dappertutto nel mondo.


III. Coloro che hanno perso la nazionalità contro la loro volontà possono, su semplice richiesta, diventare o Cosmopoliti o membri di uno stato.


IV. Lo stato accetta che le persone possano non appartenere ad alcuno stato e riconosce i Cosmopoliti come una minoranza transnazionale in base alle norme moderne del diritto internazionale.


V. Lo stato rispetta l’indipendenza di una associazione per la protezione dei Cosmopoliti e riconosce il diritto di questa associazione a stipulare patti. Questa associazione di protezione può aprire sedi in vari paesi.


VI. Passaporti cosmopoliti e documenti personali emessi dall’associazione di protezione ai suoi membri sono riconosciuti da tutti i settori dello stato.


VII. In caso di guerra i Cosmopoliti debbono essere considerati come persone estranee al conflitto e non belligeranti. Lo stato non ha mai, né in tempo di pace né in tempo di Guerra, il diritto di attentare alla libertà e ai diritti di proprietà dei Cosmopoliti. I Cosmopoliti non possono essere arruolati nelle forze armate o forzati a prestare il loro servizio a supporto bellico di uno stato, né costretti a pagare tasse o a sostenere spese connesse con la guerra.


VIII. Nessuno può essere costretto sotto qualsiasi forma e sotto qualsiasi pretesa a conservare la sua nazionalità, nemmeno in tempo di guerra.


IX. Lo stato rispetta l’indipendenza delle associazioni cosmopolite di benevolato e di mutua assistenza quali le compagnie di assicurazione, le istituzioni di prestito, quelle per la protezione legale, le istituzioni educative e di formazione, gli ospedali, le case per anziani, ecc. Lo stato non imporrà ai Cosmopoliti nessuna istituzione o servizio che essi sono in gradi di far funzionare da sé o che essi non desiderano.


X. Lo stato esaminerà ulteriori richieste che possano derivare dai principi fondamentali sopra elencati dell’Unione Cosmopolita. Su domanda della loro associazione di protezione condurrà negoziati per una estensione dei patti conclusi tra le parti. Regole concernenti l’applicazione precisa dei summenzionati principi, incluse quelle riguardanti il periodo transitorio, saranno oggetto di trattativa tra lo stato e l’Unione Cosmopolita.”


Ora, se lo stato democratico e repubblicano dice di fondarsi sul "principio della regola della maggioranza nel rispetto dei diritti della minoranza" l'idea di costituirsi in una minoranza riconosciuta non potrebbe aiutare ad aprire un varco nella coltre del torpore statalista?

#STRADE LIBERTARIE

A volte, specie negli ultimi tempi, dall’Olanda giungono notizie che mettono angoscia. Grazie al cielo, altre volte l’Olanda ci ricorda che, almeno per certi aspetti, quello dei mulini è ancora un paese da prendere ad esempio.
I residenti della città del nord olandese di Drachten sono stati usati come cavie (e forse, qui qualcosa da ridire ci sarebbe) in un esperimento che ha visto quasi tutte le strade cittadine liberate dai semafori.
Ne rimangono solo tre (in una città di 50.000 abitanti) ma saranno eliminati entro un paio di anni.
Il progetto è il frutto dell’immaginazione del Sig. Monderman, grazie al quale la città ha visto alcuni eccezionali risultati. Si pensi che normalmente la città vedeva cadere sulle sue strade in media una vittima ogni tre anni, ma da quando è iniziata la rimozione (circa sette anni fa) più nessuno è deceduto a causa di incidenti stradali.
Ci sono state alcune piccole collisioni, che quasi sembrano incoraggiare il Sig. Monderman che spiega: “Vogliamo incidenti piccoli, per prevenire quelli in cui la gente si ferisce gravemente”.
Non vedo il nesso, ma tant’è.
La teoria alla base dell’esperimento è la seguente: non vogliamo rendere la strada più sicura, ma più pericolosa. Infatti, sostiene Monderman che togliendo i semafori per il conducente la percezione del pericolo aumenta, ma sottraendo allo stato l’onere di “tutelare i cittadini” egli sentirà su di sé la responsabilità della salvaguardia della sua vita e degli eventuali passeggeri e sarà indotto a correre più prudentemente.

Geniale.

#SECESSIONE IN AMERICA

La Prima Convenzione Secessionista nordamericana si è tenuta a Burlington, in Vermont la settimana scorsa.

Alla riunione, da annoverare come la prima riunione di secessionisti dai tempi della Guerra Civile, ha incluso una miscela eclettica di conservatori, liberals, libertarians, fanatici del partito di sinistra dei Verdi e attivisti di destra cristiani.

Interessante.

Sembra che i partecipanti abbiano definito “naturale” questo avvicinamento, ma forse a causa della oggettiva eterogeneità del gruppo nulla di definitivo è stato raggiunto, eccetto un nome “Dichiarazione di Burlington”. Dalla Dichiarazione di Indipendenza invece si è preso liberamente a prestito il payoff con cui si afferma “qualunque entità politica ha il diritto di secedere da un corpo più grande e a stabilire pacificamente la sua indipendenza.”
Qui

giovedì, novembre 09, 2006

#LA LIBERTA' SUPERFLUA

Se una sostanziale libertà economica si stabilizzasse, libertà individuali e politiche ne deriverebbero automaticamente. Ma in assenza di questa condizione la libertà non può affermarsi. Quindi si spiega perchè lo stato non tollererà mai la completa libertà economica. In uno spirito di consapevole e trasparente frode, lo stato potrà concedere due, quatto o otto libertà, ma sulla libertà economica non cederà. Se lo facesse firmerebbe la sua condanna a morte come ha giustamente osservato Lenin quando disse: "è una terribile sciocchezza avanzare qualsiasi pretesa di riconciliare stato e libertà". E viste le condizioni del nostro sistema economico e politico la verbosità di massa sui "popoli liberi" e le "libere democrazie" sono solo un'oscena buffonata.



Albert Jay Nock (1870-1945),
MEMOIRS OF A SUPERFLOUS MAN (1943),
ebook disponibile in PDF
gratuito su Mises.org

#NONSENSE COLLETTIVISTA

In alcuni ambienti libertari, circola un liet-motiv, in verità poco liet, che vorrebbe non ci sia alcuna possibilità di coesistenza tra occidente e islam, in quanto quest’ultimo sarebbe intrinsecamente violento e determinato a distruggerci.
In rete, ho trovato diverso materiale in cui, più o meno esplicitamente, si sostiene vi sia addirittura un fattore psicologico a determinare tale incompatibilità.
Io penso che voler sostenere che esistano tratti psicologici collettivi a caratterizzare le diverse società umane prefiguri in buona sostanza una concezione appunto collettivista dell’umanità e perciò, sulla base di questo assunto, rigetto in tronco tale convinzione.
Sono sorpreso e deluso che molti libertari trovino convincente questo tipo di analisi semplicemente perché l’accettazione di una tale sciocchezza è di fatto una negazione delle differenze individuali, uno dei cardini dell’individualismo metodologico.
Non solo, ma se si rifiuta il relativismo, allora l’esistenza di un solo musulmano dichiaratamente libertario, impedisce di dire che i musulmani sono anti-liberali e, per converso, l’esistenza di ebrei filo-arabi impedisce di sostenere che tutti gli ebrei siano filo-occidentali.
I musulmani non sono una personalità unificata più di quanto lo siano i cristiani, gli ebrei, gli atei, i pagani, buddisti, i confuciani, o qualunque altro gruppo religioso. Si sente anche dire che gli iraniani non erano islamici fino al 1979, anno in cui i musulmani sarebbero discesi sul paese come le locuste. Peccato che la grande maggioranza degli iraniani sia stata musulmana per secoli ed anche lo scià Reza Pahlavi, brutalmente deposto ’79 dalla rivoluzione khomeinista, era musulmano. Del resto, non è perché in Italia c’è un governo statalista che domina dall’Unità d’Italia che possiamo dire che gli italiani sono tutti statalisti.
Inoltre, visto che essere amici degli USA non significa non vedere anche i gravi errori che le amministrazioni americane hanno commesso nel corso degli anni (e i libertari americani su questo punto sembrano molto più sensibili di quelli nostrani, talvolta impegnati in una stucchevole difesa degli Stati Uniti per partito preso), allora è bene ricordare che il capo di stato più laico del Medio Oriente, tra 1979 e 1991, era Saddam Hussein. Infatti, è ampiamente documentato che la sua ascesa al potere negli anni 70 fu incoraggiata dal governo americano il quale, durante la Guerra Fredda ha preferito avere nel terzo mondo alleati facilmente corruttibili e funzionali ai progetti di montaggio delle democrazie nel mondo o quantomeno strumentalizzabili ai propri fini. Fini che all’epoca consistevano nel contenimento dell’islamismo propugnato dai pasdaran iraniani e nella guerra globale al comunismo, quest’ultima, guardacaso, anch’essa inizialmente criticata dai libertari (tranne i randiani).
Purtroppo, a volte personaggi fedeli diventano figure inaffidabili che una volta alzatesi sulle proprie gambe rifiutano di onorare il patto di ubbidienza e pertanto di loro ci si deve sbarazzare. Ed è con una certa costernazione che tocca prendere atto che negli ambienti libertari pochi dimostrano il loro dissenso verso una generale e passiva accettazione del concetto di “utili idioti” –a tal proposito si dovrebbe parlare anche dei falchi neocons che ad uno sputo dalle elezioni di midterm si sono premurati di dare dell’incapace a Bush dalle pagine di Vanity Fair- ed anzi si procede acriticamente ad assimilare un dettagliato e complesso profilo psicologico collettivo (e quindi scientificamente falso) di un gruppo di individui di circa un miliardo e duecentomilioni di unità. E’ una sciocchezza collettivista che ricorda molto le tattiche di propaganda staliniane.
Ma soprattutto questo atteggiamento rischia di non farci vedere quale sia la vera natura dell’islamofascismo: quella di un movimento nazionalista reazionario in lotta per il potere che usa i classici strumenti delle rivoluzioni fasciste: sindrome da accerchiamento, la creazione a tavolino di un nemico diabolico causa delle abominevoli condizioni di vita in cui versa la popolazione, revanscismo, generalmente affiancati dalla volontà di ritornare a modelli sociali tradizionali (i miti della civiltà rurale, dello strapaese, della forza che deriva dalla grettezza e dall’ignoranza anziché dalla ricchezza e dalla capacità di analisi, o gli idilli agropastorali di Arminio e Tusnelda erano i traguardi a cui Mussolini e Hitler promettevano di condurre i loro popoli una volta sconfitto definitivamente il nemico).
Ahimè, non voler prendere in considerazione il fatto che l’islam sia potenzialmente “riformabile” o che possa conoscere anch'esso la sua fase illuminista, sottende alla funesta convinzione che con esso siamo destinati a scontrarci per sempre, perché la struttura antropologica musulmana è sostanzialmente incompatibile con quella occidentale. La conclusione logica di questo assunto è che per essere sicuri di non esporre la nostra civiltà alle minacce dell’islam dobbiamo annientare i musulmani, portatori sani di virus letale per il nostro mondo. Ripeto, sono un miliardo e duecentomilioni di persone.
Neanche il comunismo è riuscito in un’impresa simile.

martedì, novembre 07, 2006

#VELO SI O VELO NO?

Ne parlo anche da Jinzo,
io non lo vieterei.

domenica, novembre 05, 2006

#LEFTLIBERTARIANS

Su Il Foglio di sabato (qui e qui) Christian Rocca offre una personale visione di quello che accade in seno alla componente "libertaria" dei Democrats americani che si preparano alle elezioni di martedì.
La Sinistra Libertaria però sembra pensarla diversamente.

sabato, novembre 04, 2006

#PROVARE PER CREDERE

Lo diceva anche Mordecai Richler in chiusura del suo "Quest'anno a Gerusalemme" che se nella città santa ci fossero più bar forse palestinesi ed israeliani avrebbero meno voglia di ammazzarsi in continuazione:
La proposta è bizzarra, ma vi pare?

#SI COMINCIA

Mi sono deciso, dopo tanto un lungo pellegrinaggio tra i forum più disparati apro anch'io un blog.