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domenica, aprile 29, 2007

SIAMO SCHIAVI?

"There are thousand hacking at the branches of evil to one who is striking at the root."




mercoledì, aprile 25, 2007

#LOST: FICTION ROTHBARDIANA? UPDATE

Il serial è terminato e della situazione vagamente crousoniana già ne avevo detto. Non avevo detto però che uno dei protagonisti si chiamava Locke, John Locke. Ma poteva trattarsi di una semplice coincidenza.
Ieri però, sul finale, inquadravano un altro protagonista, Sawyer, mentre leggeva un libro sulla spiaggia.
In una puntata precedente fu proprio Locke a lamentare che purtroppo di libri ce n'erano pochi sull'isola e prestandone uno ad un prigioniero sopsettato di essere uno "degli altri" e appassionato di Stephen King, gli diceva di accontentarsi di Dostoevskij.
Ma che stava leggendo Sawyer? John Le Carré? Conelly? Grisham?
No! Leggeva una copia sgualcita di "The Fountainhead" della signora Rand. Coincdenza anche questa? Non credo.
Possiamo dire che LOST è una fiction libertaria? Credo di si.
A giudicare dal successo che la fiction ha ottenuto, bisogna dire che è una bella cosa sapere che le tematiche libertarie possono appassionare anche il grande pubblico, seppur inconsapevolmente.

"Individualismo per le masse", dopotutto, potrebbe rivelarsi uno slogan meno ossimorico di quel che può sembrare. :)

venerdì, aprile 20, 2007

#DIRITTO ALL'AUTODIFESA

A bocce ferme, proviamo a ragionare. Innanzitutto vorrei ricordare che proprio ieri ricorreva il 14mo triste anniversario della strage di Waco, Texas. Molti sembrano aver dimenticato quelle 80 (?) persone, donne, uomini e bambini brutalmente assassinate dai gas tossici e dai carri armati del governo Clinton, also-known-as mentore dei buoni di professione, dei benpensanti d’assalto, dei moralmente e antropologicamente superiori dinanzi a cui il fior fiore dell’intellighenzia liberal e politically-correct “dde noantri” ancora oggi si inchina per terminare il lavoretto interrotto sul più bello da Monica Lewinsky.

Detto questo, al netto delle opposte convinzioni ideologiche, la domanda che accomuna un po’ tutti è: perchè un tizio ad un certo punto decide di ammazzare tutta quella gente?
Molti vorrebbero avere a disposizione un esperto - e i più immodesti rivestono abusivamente se stessi di questa carica - per trovare una risposta “scientifica” possibilmente di un certo effetto.
Mi permetto allora di consigliare una riflessione su un penetrante aforisma dello psichiatra Thomas Szasz:

“Non esiste la psicologia, esiste solo la biografia e l’autobiografia”.

Cioè a dire che le azioni non hanno cause, ma solo motivazioni individuali, siano esse razionali e morali, oppure eticamente deplorevoli o patologiche.
Però, siccome anche questo genere di suggestioni è destinato a rimanere tale, cioè lettera morta, proviamo a ragionare sui fatti nel tentativo di capire se il sacrosanto principio all’autodifesa può essere effettivamente sottratto all’individuo e consegnato alle decisioni arbitrarie di chi reputa che così facendo a giovarne saranno soprattutto coloro che sono passibili di subire una violenza, ovvero noi tutti, senza ottenere come risultato il contrario di quanto si era preposto.

As usual, quel che si è sentito e letto sui media finora non è stato altro che la solita carrellata di banalità:
“l’America è il far-west, altro che democrazia!” è l'eco cavernosa emessa dal rutto degli epigoni di Michael Moore.
“Gli USA sono una civiltà avanzata, una nazione vitale e superiore proprio per questo ricca anche di tragiche contraddizioni” è il rovescio della medaglia spacciata, tra i soliti riccioli narrativi, come perla di pensiero forte dai giulianoni nazionali.

Nessuno, almeno tra quelli che ho letto/sentito io, che abbia detto, ad esempio, che nel 2002, sempre in Virginia, accadde una cosa simile: all’Appalachian Law School, infatti, un pazzo si mise a sparare nel campus, ma venne prontamente fermato da altri studenti armati dopo aver ucciso “solo” tre persone.
Questo mi sembra già un buon motivo per ridimensionare l’entusiasmo nei confronti delle così dette “Gun Free Zones”. Infatti, premesso che negli USA il diritto a portare armi è garantito dalla costituzione per motivi che è opportuno conoscere prima di avventarsi in critiche scomposte, è altresì evidente che vietando l'uso delle armi in una determinata area, si otterranno con certezza due risultati:


  • a) la maggioranza delle persone rispetterà il divieto;

  • b) qualcuno non lo farà;


Le conseguenze, sono facilmente intuibili. Lascia perciò perplessi il modo in cui la direzione della Virginia Tech accolse l’anno scorso la decisione di disarmare gli studenti dell’università:

“Sono certo che la comunità universitaria sarà riconoscente all’Assemblea Generale per la decisione presa perché questo aiuterà i genitori, gli studenti, la facoltà ed i visitatori a sentirsi più sicuri all’interno dell’università.”

è quanto ha affermato il portavoce dell’ateneo, Larry Hincker, tradendo un certo entusiasmo per l’ennesimo oltraggio alla Bill of Rights, come direbbe Albert J. Nock.
Invece, con molta probabilità, un solo studente armato alla Virginia Tech avrebbe potuto fare la differenza tra 32 e 3 vittime, come dimostra la sparatoria alla facoltà di legge di cinque anni fa. Inutile aggiungere che, col senno di poi, tale dichiarazione appare ancor più infelice.
Alla luce del commento di Hincker viene da chiedersi quali siano gli interessi in gioco. Larry Hincker, a capo del dipartimento dall'orwelliano nome di “Risorse Umane”, rappresenta un perfetto esempio del mix tra business e stato che caratterizza la classe dirigente corporativa statale smaniosa di infondere negli individui la falsa consapevolezza della loro dipendenza dall’autorità al fine di renderli mentalmente incapaci di prendere iniziativa. In sostanza, il retropensiero derivato dal timore che la gente possa organizzarsi per prendere posizione contro l’establishment.
Avviene ovunque, in Europa più che altrove. Difatti, uno degli artifizi che l’establishment democratico usa per tenere la gente comune nei ranghi è quello del razionamento della sicurezza. Negando agli individui la facoltà di provvedere ragionevolmente al mantenimento della propria sicurezza, lo stato limita l’offerta del servizio di protezione.
In altre parole, alla maniera di tutti i monopolisti sostenuti dai privilegi coercitivi elargiti dallo stato, l’aumento dell’offerta non è consentito, mentre il prezzo dei servizi di sicurezza viene mantenuto artificialmente alto (provate ad assumere una guardia del corpo) come conseguenza del fatto che la fornitura del servizio è limitata alle sole organizzazioni riconosciute dallo stato stesso.

Il fai da te, cioè la risposta di mercato tipica che le classi meno ricche adottano per sopperire temporaneamente all’impossibilità di accedere a servizi fondamentali, non è consentito, o è severamente limitato per mezzo di restrizioni statali. I monopolisti stessi (i politici) ovviamente sono testa e cuore dello sforzo di limitare l’offerta per proteggere l’esclusività del loro privilegio.
Consentendo l’approvvigionamento dei servizi di sicurezza soltanto attraverso fonti autorizzate da se stesso, lo stato istituzionalizza la nostra infantile dipendenza dai suoi apparati lasciandoci infine senza alcuna difesa.
Infatti, non è possibile negare che l’intervento statale avviene sempre ex post l’aver subito una violenza e, d’altra parte, per lo stato non sarebbe conveniente impartirci lezioni di responsabilità personale e di indipendenza dalla classe politica.

La gerarchia dei bisogni di Maslow è portata quindi a conclusione dall’establishment che tiene gli individui in una condizione di costante ansietà. Come accade con gli spacciatori di droga protetti da una cortina di poliziotti corrotti, il prodotto “sicurezza” viene fornito a discrezione dei politici in carica, al fine di tenere i “tossicomani” alle proprie dipendenze. Il risultato è l’inculcamento sistematico della mancanza di sicurezza il cui effetto sugli individui non si limita strettamente all’uso delle armi, ma ne modella l’atteggiamento generale favorendo una sorta di silenziosa predisposizione all’oppressione di cui tutti siamo vittime.

lunedì, aprile 09, 2007

#VIA L'IMAM

Ci trovassimo a discutere de visu, il titolare di questo blog ed io, non ho dubbi che i punti d’incontro sarebbero pochi. Uno però sarebbe sicuramente questo. Pertanto accetto l'invito a mettere in disparte le divisioni politiche e mi unisco alla protesta, sebbene con presupposti diametralmente opposti.
L’ho già detto, l’apologia di reato non è un reato dal mio punto di vista ma nel contempo l’integrazione con l’islam non mi interessa, anzi, a dirla tutta, la cultura islamica mi fa un certo orrore. Ritengo quindi che l’espulsione dell’imam di Torino sia perfettamente compatibile col mio isolazionismo estremo ed anche con la mia rivendicazione al diritto di discriminare personaggi che non mi garbano.

Di seguito, il testo della e-mail che è possibile mandare al ministero degli interni (cosa tocca fare!) affinché il barbuto predicatore venga rispedito da dove è venuto.

Oggetto: richiesta di espulsione del Sig. Kohaila (Torino) per apologia al terrorismo

Egregio Ministro dell’Interno Sig. Giuliano Amato,

Egregio Presidente del Consiglio Sig. Romano Prodi,

Egregio Presidente della Repubblica Sig. Giorgio Napolitano.

(cancellare i nomi non pertinenti all’indirizzo di posta a cui si spedisce)

Predendo atto delle gravi dichiarazioni del presunto imam della Moschea di Torino di via Cottolengo emerse da un’inchiesta della trasmissione Rai Annozero, La prego,
considerata la chiara propaganda all’organizzazione terroristica Al Qaeda, l’esortazione alla violazione dei diritti umani tramite violenza nei confronti delle donne, il reato di celebrazione di sedicenti matrimoni poligamici, e le gravi ripercussioni che queste violazioni hanno sulla Nostra sicurezza nazionale,
di agire secondo le modalità previste dalla legge (tra cui l’articolo 13 della legge sull’immigrazione e l’articolo 3 del decreto 144 del 2005) per una celere espulsione del sig. Kohaila dal territorio del nostro Paese.
Ringrazio e porgo distinti saluti

(nome e cognome),(città),(data)

Questa è la mail. Sostituite le parti tra parentesi con i vostri dati e ricordatevi di lasciare solo il nome interessato all’inizio per ogni email che inviate.

Ecco dove inviare la mail/lettera:

Ministero dell’Interno, P.le Viminale, Roma

Presidenza del Consiglio, Piazza Colonna 370, 00186, Roma. Oppure, non esistendo una mail diretta alla Presidenza del Consiglio, qui.

Presidente della Repubblica. Non esiste una e-mail, però a questo indirizzo si può inviare la lettera. Copiate la mail nel box “testo”. Ricordate di compilare tutti i campi con l’asterisco sennò non vi fa inviare il post. - Palazzo del Quirinale, 00187 Roma, Piazza del Quirinale - Fax 06.46993125

mercoledì, aprile 04, 2007

#LOST: FICTION ROTHBARDIANA?

Essendomi perso qualche puntata non mi è tutto chiaro. Ad esempio, chi sono e cosa vogliono “gli altri”? A parte questo, quel che mi piace di LOST, il serial TV in onda su RAI2, è l’evidente situazione a la Robinson Crusoe cara a Rothbard & Co. C’è una società totalmente volontaria in una parte dell’isola (i buoni) ed una società di gente cattiva organizzata coercitivamente dall’altra (“gli altri”). Però accade una cosa strana. Alcuni buoni, cioè i sopravissuti al disastro aereo che ritrovatisi su l’isola iniziano a cooperare superando le diffidenze reciproche, vorrebbero tornare alla società del continente, la quale assomiglia molto alla società dei cattivi. Non tutti però. Questa è la cosa interessante. Infatti, tra i buoni vi è chi ha avuto problemi con la legge del proprio paese d’origine e sembra preferisca non tornare. Forse è per questo che i rispettivi governi vogliono farli rimanere sull’isola… o forse no?

La cosa mi intriga anche perchè ho la sensazione che i riferimenti crousoniani non siano del tutto casuali. Chi ha scritto LOST secondo me ha una certa familiarità con “Man, Economy and State”, ma non diciamolo troppo forte che alla RAI potrebbero ritirarlo dal palinsesto per sospetta propaganda sovversiva.

martedì, aprile 03, 2007

#SPECCHIO DEI TEMPI

Notate niente di strano in queste quattro foto qui sotto? Le prime due, come indicato dalle didascalie sono della Cina, di 20 anni fa e di oggi.



Ora confrontiamole con le due qui sotto, stavolta di New York negli anni '80 e dei nostri giorni.




Dunque cosa abbiamo? Una nazione socialista in bicicletta trasformatasi una società capitalista motorizzata ed un paese, anzi il paese del capitalismo motorizzato che si dà alle due ruote.

Poi dice che l'ambientalismo non è comunista! :D

lunedì, aprile 02, 2007

#UN OTTIMO CORVAGLIA

Se fossi anarco-socialista avrei voluto scriverlo io.

domenica, aprile 01, 2007

#FORMARE AWARENESS LIBERTARIA: L'UNIFORMITÀ

Vi sono tre ragioni per cui, secondo il mio parere, è difficile - o impossibile - persuadere le persone alle ragioni del libertarismo discutendo esclusivamente in termini di efficienza economica.

Primo, l’efficienza economica è sempre opinabile e, inevitabilmente, si fonda su dati tecnici oscuri per la maggior parte delle persone. Essa, inoltre, è soggetta alla peggiore opera di disinformazione da parte dello stato. In Italia, ad esempio, se si afferma che il libero mercato produce costi più bassi per quel che riguarda l’assistenza sanitaria, immancabilmente l’obiezione che viene portata è quella degli Stati Uniti, dove “si spende moltissimo per le cure mediche”. Tentare di confutare queste false informazioni richiede una notevole capacità di sviscerare la materia in dettagli di cui i nostri interlocutori probabilmente non hanno mai sentito parlare prima e che perciò vengono facilmente liquidati. Sostenere, poi, che l’assistenza sanitaria era più efficiente ed economica prima che lo stato se ne facesse carico è oltretutto improduttivo, giacché le persone possono ribattere facilmente che la tecnologia era meno avanzata, che c’erano meno anziani, che le aspettative di vita erano inferiori, i medicinali scarsi e così via. La discussione diventa incessante e noiosa, poiché richiede nozioni di statistica, conoscenze specialistiche ed una pazienza da monaci tibetani. Insomma, è molto facile uscire dal seminato mancando di spiegazioni chiare ed esaustive.

L’argomento dell’efficienza richiede anche la quasi onniscienza. Affermare che il mercato libero è più efficiente – e che tutte le inefficienze sono sempre attribuibili all’intervento dello stato – necessita la conoscenza dettagliata di innumerevoli discipline. Spiegare a qualcuno perché la disoccupazione del mezzogiorno è il risultato non (solo) della scadente imprenditorialità locale, ma dell’invasività statale, richiede almeno mezz’ora di tempo in cui tenere una conferenza di economia e storia. Non è una prospettiva allettante, specie per il malcapitato ascoltatore, il quale, se anche arrivasse alla fine del nostro dotto monologo, avrà semplicemente ascoltato un’interessante e parziale lezione di storia, ma difficilmente avrà la capacità di risalire da questi fatti ai principi fondamentali dell'economia. Per non parlare degli assiomi morali relativi alla violenza dello stato.

Si può essere esperti nell’argomentare contro la legislazione anti-monopolio in materia di software, ma se il nostro interlocutore si occupa di carpenteria pesante? O di agroalimentare? O di turismo? Ad un certo punto egli potrebbe iniziare a sbadigliare, noi a balbettare cose su cui non siamo preparati vedendoci costretti a virare la discussione sulla classifica di serie A.
Questo avviene anche perché molti difensori della libertà passano ininterrottamente dai libri, alle conferenze ai blog per cimentarsi con quanto hanno appreso rischiando di avvitarsi in un’interminabile ed autoreferenziale noia. Bisogna ammettere che per la maggior parte delle persone l’argomento dell’efficienza economica ha l’appeal di una sarda salata da suggere sotto l’ombrellone, a ferragosto.

La seconda ragione per cui questo approccio ha scarse possibilità di fare presa è che le persone non accetteranno mai il rischio di un radicale cambiamento sociale per amore di teorie economiche i cui benefici non potranno essere immediati. I difensori della libertà non devono mai dimenticare che giocano col fuoco quando parlano di “riorganizzazione” (il termine è improprio, lo so, ma in definitiva di questo si tratta) drastica della società. Buona parte di tali riorganizzazioni risulta piuttosto indigesta al cittadino medio. Le persone sono generalmente spaventate dai cambiamenti radicali e un rapido sguardo alla storia non mancherà di confermare che, in fondo, ne hanno ben donde. Un eventuale aumento dell’efficienza economica, per quanto realistico, non le persuaderà mai ad esporre il loro intero stile di vita al rischio di essere cancellato.

La terza ragione del perché il tema dell’efficienza difficilmente può dimostrarsi vincente è che le persone, in verità, non si preoccupano molto dell’efficienza economica. Un esempio su tutti? La paternità. Si può dire che avere figli sia economicamente efficiente? I figli comportano grandi responsabilità, impegni economici e si portano via un bel po’ di quel tempo che prima, magari, dedicavamo ai nostri passatempi, agli amici o al pub. Inoltre, pochi benefici portati dall’avere figli possono essere misurati dalla statistica economica. Le soddisfazioni umane, affettive e spirituali che un figlio può dare, del resto, sono così intime e profonde che talvolta si prova quasi imbarazzo tentando di descriverle. Eppure, sono questi gli argomenti che colpiscono le persone, non l’efficienza economica.

Ma, allora, se la questione dell’efficienza economica non funziona, cosa può far breccia nei cuori e nelle menti dei nostri ascoltatori? Secondo il mio personale parere, c’è un argomento che ha qualche probabilità di riuscita ed è quello che ho voluto chiamare la questione dell’uniformità.

Cos’è la questione dell’uniformità? Facciamo un esempio. Le persone credono sia morale per lo stato usare la forza al fine di prendere ai ricchi per dare ai poveri. Un argomento efficace contro tale convinzione è chiedere se questo possa considerarsi un principio uniformemente morale. Se la persona dice sì, allora deve convenire che chiunque può adottarlo. Un uomo povero può derubare un uomo ricco sotto la minaccia delle armi. Ogni persona che possiede meno di un’altra può aggredire quest’ultima e spararle, se oppone resistenza. È questo il tipo di mondo che essi auspicano? Non credo. Così, il principio secondo cui è giusto usare la violenza per redistribuire la ricchezza viene demolito. Non è più, quindi, un principio morale uniforme, ma qualcos’altro.

Una simile discussione non richiede affinate conoscenze di storia, di economia, di teoria politica o altre complicate discipline. Soprattutto non richiede che il nostro interlocutore sia ferrato in nessuno di questi argomenti. Tutto quel che serve, è la garbata persistenza della maieutica socratica.

Certo, con ogni probabilità la discussione non si esaurirà lì. Le persone ci incalzeranno con ogni genere di sciocchezza riguardo alla democrazia, alle decisioni collettive ed al trasferimento dell’autorità morale allo stato, ma si tratta di obiezioni facili da demolire: basta ricordare che lo stato non è nient’altro che un gruppo di individui.

Ancora, i contratti sottoscritti volontariamente sono moralmente vincolanti, mentre quelli imposti senza consenso non lo sono.
Cioè, se compriamo un terreno dobbiamo pagarlo, ma se acquistiamo una casa per un amico senza il suo consenso, poi non possiamo obbligarlo a pagare al posto nostro. Questo è un argomento che spiega perchè le decisioni accentrate ed imposte dalla democrazia sono fondamentalmente immorali.

Nella pratica questi esempi astratti come si traducono? Torniamo all’esempio dell’assistenza sanitaria. Molti libertari incontrano delle difficoltà a spiegare nei particolari la situazione americana, ma impostando la conversazione sul tema dell’uniformità il nostro dialogo potrebbe somigliare a questo:

L’assistenza sanitaria dovrebbe essere interamente privatizzata.

Ma è più costoso se non è lo stato ad occuparsene, guarda l’America!

Non credo sia così, ma se fosse? Chi ha diritto di stabilire quanto una persona deve spendere per l’assistenza sanitaria? In una società libera, le persone potrebbero decidere di spendere anche la metà o più del loro reddito per un servizio medico: come potremmo impedirgli di farlo?

Ma negli Stati Uniti 30 milioni di persone non hanno l’assicurazione contro le malattie.

Questo è il risultato delle orripilanti leggi del governo che fanno crescere il costo delle assicurazioni mentre i servizi rimangono gli stessi. Supponiamo invece che l’assicurazione sia puramente volontaria, che molte persone non la desiderino e che sia impossibile imporre loro di sottoscriverla: cosa accadrebbe? Un’elementare legge del mercato dice che i prezzi scenderebbero velocemente.

Ma le persone devono avere un servizio sanitario garantito!

Perché? Mettiamo il caso che l’assicurazione sia effettivamente molto costosa, per un giovane sano, abituato a muoversi con i mezzi anziché con l’auto, che conduce una vita regolare e non si dedica ad attività pericolose, prudente, sportivo, rispettoso di buone abitudini alimentari e così via. L’assicurazione per lui probabilmente non avrebbe alcun senso: molto meglio continuare a condurre una vita responsabile, risparmiare denaro da usare qualora si presenti l’evenienza di una malattia, o al limite assumersi il rischio di ammalarsi. L’assicurazione contro le malattie è una decisione molto personale. Penso sia superficiale, oltre che ingiusto, imporre una simile scelta a qualcun’altro.

Ma se il diciottenne si ammala e deve ricorrere alle cure di un ospedale pubblico, allora rappresenta un costo sociale!

Sì, al momento è vero, ma non sarebbe così se l’assistenza sanitaria fosse privata.

Quindi dovremmo lasciare morire le persone per strada?

No, suppongo che anche tu troveresti la cosa intollerabile.

Certo!

Quindi li aiuteresti?

Si, io lo farei, ma gli altri?

Perché pensi che gli altri non lo farebbero? Tutti ci preoccupiamo di queste cose. Il fatto stesso che l’accettazione dell’assistenza sanitaria nazionale sia tanto diffusa conferma che le persone si preoccupano sufficientemente di chi non è in grado di cavarsela da solo, non ti pare? Perciò, questo non dovrebbe essere un problema insuperabile. Ma, per amor di discussione, supponiamo che la maggioranza delle persone non si interessi realmente di chi è povero e viene lasciato morire per strada. In tal caso, dare allo stato più potere non servirebbe a granché dato che simili persone non voterebbero mai per politici che promettono di voler prendersi cura dei deboli. Inoltre, i politici stessi non farebbero nulla per i poveri di propria iniziativa perché, essendo anch’essi persone, secondo i tuoi sospetti sarebbero troppo misantropi per preoccuparsi di chi non ce la fa. Quindi, o le persone si preoccupano dei più poveri e sono disposte ad aiutarli volontariamente, oppure non lo faranno; nel qual caso, non sarà certo lo stato a farlo. L’intera questione della privatizzazione è che non si possono forzare le altre persone ad accettare la nostra visione del mondo, le nostre preferenze e le nostre inclinazioni psicologiche. Se tu ed altri come te desiderate che tutti possano avere cure mediche garantite io penso sia un cosa nobile e meravigliosa, ma allora forse dovresti fondare una compagnia di assicurazioni low-cost, o supportare qualcuno che lo faccia, oppure rinunciare a qualcosa per te e fare la carità, o magari diventare medico e lavorare due giorni la settimana gratis, o pagare un extra sulla tua polizza in modo da contribuire a ridurre le quietanze di chi è più povero di te. Ci sono migliaia di modi per aiutare gli altri. Ciò che a me sembra immorale è lo stato che forza le persone a pagare per i poveri affinché ottengano cure gratis, perché se è morale per lo stato forzare la carità, allora è morale per tutti. Significa che dovremmo garantire ai poveri il diritto di impugnare una pistola per rubare a chi ha più di loro il denaro per curarsi o per mangiare.


Certo, un simile approccio, ammesso che possa mai aver luogo, non è detto chiuda definitivamente la discussione. Tuttavia si può notare come la discussione possa procedere senza mai fare appello all’efficienza economica del libero mercato.
Una delle tecniche migliori per dibattere consiste nel dare per scontato che gli edifici concettuali del nostro interlocutore siano veri, dimostrando successivamente che se coerentemente applicati essi conducono a conclusioni assurde. Così, la questione secondo cui alcune persone (lo stato, i politici etc.) possono usare la forza a nome e per conto degli altri attraverso la tassazione può essere facilmente contraddetta dicendo che se questa è una cosa giusta allora tutti dovrebbero essere incoraggiati a fare lo stesso.
Lo stato allora non è necessario: una persona di sani principî morali non dovrebbe fare altro che sottomettersi alle minacce di chi sostiene di essere bisognoso e intende derubarla.

In conclusione, sono del parere che per i difensori della libertà sia giunto il momento di prendere commiato dalla pura discussione sull’efficienza economica. È stato un esercizio educativo dimostrare, almeno a noi stessi, che il mercato libero può realmente (e meglio) fornire tutti i beni ed i servizi attualmente offerti alla società dal potere brutale dello stato, ma questo non è abbastanza per motivare la crescita di un più grande movimento. Nella difficile marcia verso un mondo più libero, c’è bisogno di un messaggio più potente, persuasivo, immediato e comprensibile. La questione dell’uniformità potrebbe rappresentare un primo passo. In ogni caso, la nostra vera bandiera non può essere l’efficienza o l'uniformità, ma la moralità e la bontà che sprona e richiama naturalmente all’azione ogni intento nobile nell’animo degli uomini.