#DEMOCRAZIA DIRETTA: E' ANARCHIA?
Molti anarchici, specie “leftists”, vedono una stretta connessione tra democrazia partecipativa (o diretta) ed anarchismo. Alcuni addirittura sostengono che l’Anarchia rappresenta il compimento dell’idea di democrazia partecipativa. I “free market anarchists” e gli individualisti più in generale nutrono ovviamente forti dubbi su questa convinzione. Io sono fra questi. La questione, che vale la pena di indagare e chiarire, riguarda principalmente la differente concezione di libertà, giurisdizione, consenso, pretesa e più ampiamente di società, che divide le due famiglie anarchiche. Innanzitutto, una precisazione: per leftists io intendo anarco-socialisti, anarco-sindacalisti, anarco-comunisti, mutualisti e collettivisti. Non includo tra questi gli agoristi seguaci Samuel Edward Konking III aka SEK3, che si ritrovano sotto la bandiera nera del “Movement of the Libertarian Left” (MLL), movimento di sinistra nella misura in cui “sinistra” significa storicamente ed esclusivamente “anti-sistema”. Per il resto trattasi di un gruppo contrario alla collettivizzazione dei mezzi di produzione, che promuove l’individualismo, l’ordine giuridico fondato sui diritti di proprietà, il libero mercato e pertanto perfettamente configurabile nel quadro generale della filosofia politica misesiana-rothbardiana. Questo, per specificare che il “core” della faccenda ha molto a che vedere anche con le relazioni che intercorrono tra “anarchici di sinistra” e sinistra generalmente intesa.
Dice Rothbard:
“In senso lato, l’idea di “democrazia partecipativa” è profondamente individualista e libertaria: per essa si intende che ogni individuo, anche il più umile e povero, deve avere il diritto a possedere il pieno controllo delle decisioni che riguardano la sua vita.”
Tale affermazione apparirà meno sorprendente se si specifica che per MNR l’idea compiuta di democrazia è il libero mercato e che in questo egli non fa altro che seguire il suo maestro Von Mises il quale scrisse (cito a memoria):
“Nella la società capitalista, gli uomini diventano ricchi servendo i consumatori… L’economia di mercato capitalistica è una democrazia in cui ogni cent costituisce un voto. La ricchezza dell’imprenditore di successo è il risultato di un plebiscito dei consumatori. La ricchezza, una volta acquisita, può essere mantenuta soltanto da quelli che continueranno a guadagnare soddisfacendo le necessità dei consumatori. L’ordine sociale capitalistico, quindi, è una democrazia economica nel senso più stretto della parola. In ultima analisi, tutte le decisioni dipendono dalla volontà delle persone intese come consumatori.”
Tuttavia, quella di Rothbard è una rappresentazione che corrisponde abbastanza bene a quanto i “left-anachists” pensano in merito alle relazioni tra libertà, democrazia ed anarchia. A tale immagine si riferisce spesso anche uno dei cardini del milieu culturale left-anachist: il principio di “autogestione della libertà”, in cui è implicito il diritto ad esprimere un’opinione su ogni decisione che riguarda la nostra vita. Non è precisamente questo ciò che Rothbard intendeva, ma è tuttavia il modo in cui più spesso ho visto coniugare il suddetto concetto.
Da notare, comunque, che l’idea fondante della democrazia repubblicana è che la libertà si esprime attraverso la partecipazione collettiva alle decisioni politiche. Inoltre, è possibile vedere un link con la nozione di libertà intesa come non-dominio, in cui avere voce in capitolo nelle decisioni che ci riguardano può essere visto come una diminuzione del grado di dominio da parte di altri soggetti la cui volontà è per definizione arbitraria.
Ad ogni modo, intendere la democrazia partecipativa come “profondamente individualista e libertaria” è certamente affrettato se si esce di poco dalla prospettiva rothbardiana.
Ricordo gli argomenti di Nozick in Anarchia, Stato e Utopia in merito al diritto di esprimere un’opinione sulle decisioni che ci riguardano. Diceva più o meno Nozick: supponiamo di essere un famoso direttore d’orchestra che ad un certo punto decide di dare le dimissioni. Non stiamo rompendo un contratto, ma la cessazione della nostra direzione avrà conseguenze negative profonde per l’intera orchestra. Diciamo che, una volta perso il celebre direttore, il calo d’immagine dell’orchestra si tradurrà in una notevole riduzione degli incarichi; i musicisti dell’orchestra dovrebbero avere diritto ad esprimere un veto alle nostre dimissione giacché queste avrebbero seri effetti negativi sulle loro vite?
O immaginiamo una situazione in cui ci sono quattro uomini e una donna coinvolti nello stesso menage sentimentale. Ad un certo punto però la donna decide che sceglierà solo uno di loro, non importa quale. Ma ognuno degli uomini soffrirà enormemente se non sarà scelto. Si dovrebbe mettere ai voti quale degli uomini la donna dovrà scegliere?
Il punto, ovviamente, è che prendendo il principio di “autogestione della libertà” come regola generale, questo non funziona.
Difatti la prima questione è: chi prende la decisione? Se solo per essere indirettamente coinvolti dagli effetti delle mie azioni gli altri individui ottengono automaticamente il diritto ad esprimere un veto sui miei comportamenti allora non abbiamo libertà intesa in termini libertari.
Accettare una concezione della libertà lungo queste traiettorie, significa iniziare a dare un senso alle idee di marxiane su alienazione e libertà sotto il comunismo. Sotto il comunismo, le persone non saranno più angustiate da forze sociali estranee alla loro classe di appartenenza (collettivo) e la cui volontà appare loro come aliena. Tutte le decisioni che ci riguardano individualmente saranno prese dal collettivo all’interno del quale ognuno di noi conta un voto. Niente più scoccianti ordini spontanei.
Sicché, essere indirettamente coinvolti dalle azioni di un altro individuo non ci dà il diritto di esprimere un veto alle sue azioni, a meno che, ovvio, queste non rappresentino una violazione dei nostri diritti (di proprietà). Significa che gli anarchici dovrebbero rifiutare il concetto di democrazia partecipativa. Forse forme di democrazia partecipativa collettiva possono essere appropriate in quelle aree dove il processo di decisione collettivo è legittimato (non legittimo) dalla comunità e forse si può dire anche che simili forme siano desiderabili laddove alcune persone si trovino effettivamente sotto la diretta autorità di altre.
D’altro canto se devo sottomettermi alle decisioni di un qualche corpo collettivo, allora è sicuro che vorrò in qualche modo prendere parte a quel processo e soprattutto che intenda proteggere i miei diritti. Credo sia questo che intende Kevin Carson quando dice:
La differenza tra anarchia e democrazia, almeno quando quest’ultima è portata alla sua conclusione logica, non è così grande. L’anarchia è lo sviluppo ultimo del principio democratico jeffersoniano, inteso nello stesso senso di Thoreau, secondo cui il miglior esempio di governo è il governo che non governa affatto. Il cuore del concetto jeffersoniano di democrazia era il governo per consenso e l’idea che più piccola sarà l’unità di governo, il più vicino all’unanimità sarà anche quel consenso. La regola della maggioranza non era quella comunemente intesa come espressione della volontà della maggioranza, bensì come una procura per consenso, un modo imperfetto per simulare il consenso quando il consenso unanime era impossibile da stabilire.
Quindi, trasformare tutti i governi in assemblee comunali fondate sul principio della democrazia diretta è un passo nella direzione giusta. L’ulteriore passaggio è quello di privare le assemblee comunali del potere di esigere il pagamento per servizi non richiesti consentendo così la libera competizione tra fornitori. A questo punto avremmo completato il cammino e ci troveremo nel punto in cui anarchia e democrazia radicale coincidono.
Il che significa che, almeno secondo i mutualisti, ciò di cui avremmo bisogno è:
a) che il processo di decisioni politiche sia fondato sul consenso collettivo di quelli che sono sottoposti all’autorità di quel
corpo collettivo;
b) il diritto di secessione;
c) l’attrattiva (?) che la nostra voce conti qualcosa nel processo delle decisioni;
A mio modo di vedere però, il riconoscimento del diritto di secessione individuale fa si che subordinarsi alle decisioni di un corpo collettivo rappresenti l’eccezione rispetto alla condizione di natura; cioè, se già in partenza ho la facoltà di non sottostare all’autorità del collettivo, allora in cosa consiste realmente l’autorità del collettivo?
Certo, in una società libera, non è escluso che ci saranno organizzazioni internamente gerarchiche ed autoritarie. E se la partecipazione a tali organizzazioni è volontaria, allora è così che dovrà essere. Ma va da sé che queste organizzazioni non rappresentano l’ideale dei valori anarchici ed antiautoritari.
Spesso, a destra e a sinistra, si pensa erroneamente alla società come ad una grande organizzazione. I left-anarchists che compiono quest’errore è perchè vedono la società come un insieme di lavoratori autonomi, di collettivi autogestiti, in breve, una democrazia diretta. E finché la democrazia è diretta (senza rappresentanti), questo sarà l'assetto desiderabile per la società secondo quegli anarchici.
Ma la società non è organizzata, né “organizzabile”. Trattandosi di un ordine spontaneo, la sua condizione naturale non è la democrazia, ma l’anarchia.
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