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giovedì, febbraio 01, 2007

#HANDS OFF MKTG DIRECTOR

La pubblicità (adv) è forse l’aspetto della cultura capitalista più malignamente criticato al giorno d’oggi. “Non s’interrompe un’emozione” è l’urlo di battaglia dei moralizzatori che non sopportano l’irruzione di un volgare spot pubblicitario nel loro cult movie preferito. Per gli internauti la cosa sembra ancor più fastidiosa. Sebbene i browser ed i client di posta più diffusi siano oramai dotati di dispositivi per il blocco dello spam e dei pop-up che rallentano la navigazioni tra i siti internet, molte web communities fanno pressing sulle autorità statali affinché queste limitino per legge la diffusione degli annunci in rete.
I più agguerriti nemici dell’adv sostengono che esso incentivi il materialismo o addirittura che sia a fondamento del dannoso stacanovismo consumista che affligge la nostra società.
Anche fra gli economisti l’adv non gode di ottima fama. Lo definiscono “rent-seeking” derubricandolo come “uso improduttivo di risorse”. In sostanza, dicono questi illustri studiosi, si potrebbe fare tranquillamente a meno della pubblicità giacché essa non crea ricchezza, ma semplicemente causa una ricchezza fittizia mediante il sotterfugio. Nel fare pubblicità, insomma, vengono impiegate risorse reali che rappresentano una perdita oggettiva per l’impresa che se ne avvale senza che come controparte si determini un reale aumento della produzione.
Anche luminari dalle note inclinazioni libertarie come John Lott e Gordon Tullock si sono espressi negativamente sulla pubblicità.
Il giudizio unanime sull’advertising pare quindi inappellabile: si tratta di una creatura ignobile che va allontanata dal mercato.
Purtroppo (o per fortuna), il giudizio unanime a volte toppa. Certamente l’advertising non è un’attività “utile”; esistono aziende che non ne fanno uso e prosperano ugualmente - anche se da una più attenta analisi emergerebbe che tali imprese, più o meno volontariamente, adottano comunque delle strategie di mktg che, per quanto elementari, consentono il posizionamento di un brand o di un prodotto.
Tuttavia le conseguenze positive dell’adv sono innegabili. Si tratta, in effetti, dello strumento più efficace per promuovere un bene sul libero mercato.
Se prendessimo un economista “mainstream” di estrazione classica e lo teletrasportassimo in un mondo senza radio egli potrebbe sostenere che tale medium non può esistere senza la sovvenzione statale. Difatti, una volta che un segnale radio è stato trasmesso non ci sarebbe mezzo per forzare le persone a pagare per ascoltarlo. Ad un consumatore non può essere impedito di ascoltare la radio se rifiuta di pagare perché, in una determinata area, il segnale deve essere accessibile a tutti o a nessuno. Ma, nel mondo reale, l’adv che l’economista mainstream rigetta rappresenta l’ingrediente magico. Infatti, anziché far pagare gli ascoltatori, le radio fanno pagare gli inserzionisti pubblicitari affinché questi possano raggiungere i loro potenziali clienti attraverso gli spot che la radio trasmette. Così, mentre l’economista postula il fallimento del mercato per l’assenza della radio, i consumatori possono scegliere fra centinaia di stazioni gratis.

L’adv è la linfa vitale per le radio, le tv commerciali ed il free-press, ma è anche la ragione per cui i quotidiani, i news-magazine ed altri periodici sono venduti ad un prezzo inferiore a quello della carta su cui vengono stampati. L’adv abbassa inoltre i costi di abbonamento ai magazine, ma soprattutto riveste un ruolo fondamentale nell’era dell’informazione globalizzata.
Se volete sapere il nome della band che canta “Don’t tread on me” non dovete fare altro che digitare il quesito in Google e in meno di dieci secondi avrete la risposta senza scucire un cent. Perché Google fa tutto questo per voi? Forse perché è un’organizzazione di magnanimi filantropi che ha a cuore il vostro bagaglio culturale? O forse perché non ha bisogno di chiedervi soldi dato che li ha già ottenuti da chi espone quei piccoli annunci che stanno in cima alla vostra ricerca?