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venerdì, gennaio 19, 2007

#IL RELATIVISMO È UN MITO. CHI CI CREDE?

L’issue è un po’ passata di moda, ma la questione del relativismo è cruciale per la teoria della libertà e per la filosofia morale più in generale, perciò mi cimenterò lo stesso. L’obiettivo di questo post è dimostrare che il relativismo morale è un mito inaccettabile per qualunque persona disposta ad esaminare criticamente i propri principi. Pertanto, dichiaro sin da subito che chiunque pretenda di definirsi relativista morale o è in malafede, oppure non sa di cosa sta parlando. Chi mi conosce personalmente e dovesse ritrovarsi in parte o del tutto nel profilo del relativista qui descritto, non se la prenda; la mia non è una condanna al rogo degli infedeli, ma un più banale invito a riflettere sulle difficoltà che si incontrano nel sostenere una qualsiasi convinzione etica quando ci si definisce relativisti. In fondo, è quel che penso, e pare a me che commetterei un inutile atto di ipocrisia a dire che non è così.

I due tratti principali del relativismo sono:

a) La convinzione secondo cui non esistono principi universali, ma soltanto valutazioni umane astratte e soggettive. Le verità morali sono relative, ovvero la bontà di un’azione dipende dal - o consiste nel - atteggiamento (intenzione) tenuto da un individuo o un gruppo di individui nel compiere tale azione e può quindi variare da soggetto a soggetto;
b) Le azioni basate su questa convinzione dimostrano chiaramente che l'agente sta più o meno agendo coerentemente con il relativismo morale, nei fatti l’unica e vera la posizione filosofica possibile.

In questo tipo di situazione, la convinzione viene prima, l’azione segue, ma l'azione compiuta ci dice qualcosa sulla convinzione e quindi chiarisce l’intenzione.

Quotidianamente ci imbattiamo in affermazioni che rivelano una chiara origine relativista: “quel che è vero per te può non esserlo per me”, “niente è realmente giusto o sbagliato” “solo la cultura di un preciso momento storico determina il valore etico di un gesto”, “i giudizi etici sono solo una questione di opinione personale” ,“nessuna società è migliore o peggiore di un'altra”,”quelli che oggi consideriamo crimini in passato rappresentavano la normale amministrazione delle cose”, e così via.
Inoltre, spesso i relativisti morali abbastanza audaci da ammettere di esserlo, sentenziano: “Tutte le convinzioni morali sono relative e questo è quanto!” o altre asserzioni più o meno filosofiche.
Curioso anche osservare come dichiarazioni analoghe a quelle sopra citate, in una normale conversazione, siano tacitamente accettate come si trattasse di verità su cui nessuno dovrebbe dubitare. Non solo, ma generalmente i paladini del relativismo hanno una ben precisa opinione di se stessi: pensatori liberi, con la mente sgombra da ridicoli pregiudizi, gente originale, moderna, “who take a different point of view”. Il relativismo, in realtà, è invasivo, capillare e incombente. Insomma, banalmente ovunque; al punto che i più diffusi sondaggi dicono che l’80% della popolazione occidentale è d’accordo con affermazioni tipo questa: “non esistono norme morali assolute”.

MONEY TALKS, BULLSHIT WALKS

Ora, in genere non metto mai in discussione le convinzioni individuali delle persone, a meno che non ne abbia una valida ragione; se qualcuno mi dice che la verità è una questione relativa, accetto ciò che quella persona dice di credere. Poi però, com’è naturale in una relazione umana, si confrontano affermazioni e azioni conseguenti. E qui casca l’asino. Immancabilmente, quelli che declamano “la verità è relativa” non agiscono mai come se ciò fosse vero.
La convinzione personale è una cosa, le azioni un’altra, ed è nella dimensione dell’azione che il relativismo morale accusa il colpo fatale. Il vecchio adagio “le azioni parlano più delle parole” assume quindi un significato particolare. Infatti, il comportamento dei relativisti morali dimostra che essi sono in definitiva degli assolutisti morali, benché di tipo particolare: quelli che pretendono di essere il contrario di ciò che in realtà sono. Ed è questa la cosa avvilente. Lo stesso dichiararsi perentoriamente “relativista morale” non permette di mantenere l’impegno con la filosofia del relativismo morale. L’uomo è azione, non solo vita contemplativa e pertanto questo giudizio è indirizzato all’azione, non al presunto sostegno di una posizione filosofica.

Tanto per citare: i promotori del “political correctness”, che vogliono censurare forme di espressione ritenute offensive per le minoranze. La maggior parte di queste persone pretende di essere relativista morale, ma promuove una dottrina che include un programma assolutista, cioè, “le dichiarazioni politicamente inopportune devono essere eliminate dal linguaggio pubblico o addirittura proibite per legge”. Oppure i propugnatori del multiculturalismo: tutte le culture, e le pratiche ad esse collegate, devono essere considerate buone a priori, senza verificare cosa esse comportino concretamente. “È la cultura occidentale a seminare l’odio e quell’odio va estirpato” è la dichiarazione implicita nel luogo comune oramai sulla bocca di tutti che vorrebbe che “la contaminazione” tra culture sia sempre positiva, come se la tolleranza si potesse ridurre a mera disponibilità al dialogo col prossimo, anche qualora quest’ultimo fosse intenzionato a nuocerci.
Gli abortisti di professione, poi, colpiscono per cinismo: pretendono di affermare che l’etica è una questione di opinione personale e poi tentano di annullare per vie legali qualunque opposizione a quella che chiamano “una conquista”.
La verità è che il rifiuto ottuso e categorico di questi gruppi di soffermarsi a riflettere anche di fronte all’oggetto della disputa, nega, de facto, il confronto a qualsiasi opposizione filosofica.

Sono semplici esempi di comportamento assolutista mascherato da relativismo morale, ma c’è dell’altro. I così detti “gruppi per l’emancipazione della donna”, molto attivi nel promuovere la loro peculiare forma di relativismo morale, sostengono che la condizione delle donne in Afghanistan è inumana, ma, per essere coerenti, essi dovrebbero dire che in fondo si tratta di una cultura diversa dalla nostra e che noi non abbiamo nessun diritto di giudicare se essa sia giusta o sbagliata. Lo stesso vale per quelli che difendono la libertà sessuale e poi si dicono contrari ai rapporti pedofili: per essere coerenti dovrebbero invece dire che si tratta di opinioni personali e che nessuno dovrebbe essere punito per simili comportamenti.

Nessuno dei giudizi sopra citati riguardanti un’azione umana può essere ritenuto giusto o sbagliato senza richiamarsi ad una norma impiegata come criterio per giudicare un comportamento. Questa norma, per sua autentica natura, deve essere assoluta. Il relativismo morale, invece, non può richiamarsi a nessuna norma semplicemente perché esso prescrive che non vi sono norme. Si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi di assolutismo morale mascherato da relativismo, ma la concisione, peraltro già violata, lo sconsiglia. Faccio solo una precisazione: lo pseudo relativista morale (perché è questo che essi sono realmente) non è interessato a convincerci personalmente che la sua posizione filosofica è vera impegnandosi in una discussione intellettuale. Dopotutto, come potrebbe? No, egli nelle discussioni sfugge, tergiversa, si appella al “benaltrismo”*, si intestardisce su dettagli del tutto trascurabili che vorrebbe far passare come le “grandi lacune” delle teorie che egli avversa, svia il discorso, inverte i piani della discussione, non risponde mai chiaramente, usa un linguaggio oscuro e poi si dimostra insofferente alla terminologia filosofica invocando una “leggerezza formale”, la quale, ahimè, se non si accompagna alla sostanza dei contenuti, altro non è che leziosa vacuità.
Piuttosto, il relativista si interessa ai collettivi, ai corpi legislativi e giudiziari, nel tentativo di infilare nella loro produzione normativa le sue convinzioni. Cioè a dire che ciò che è legale e anche morale.

L’ULTIMO CHIODO NELLA BARA DEL RELATIVISMO MORALE

Attenzione, quando parlo della moralità del relativista non mi riferisco alla moralità in senso lato, all’essere corretti, a non mentire o al mantenere la parola data. Mi riferisco alle convinzioni morali che si intrecciano con la legge positiva.
La moralità, o l’etica personale, ha niente a che vedere con la situazione in esame. La legge positiva è tutto ciò che conta.
Rendere un’azione umana legale mediante la legge è cosa ben diversa dall’affermarne la moralità. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, secondo questa posizione filosofica, è dichiarare che qualcosa sia “legale” e, ipso facto, essa diviene altresì moralmente giusta.

Allora, per amore di discussione, accettiamo per un momento che ciò che è legale sia anche moralmente giusto.
In tal caso, il relativista morale sarebbe spacciato, perché se fosse la legalità a definire la moralità di un’azione, allora qualunque critica a fenomeni come la Shoah, o l’11 settembre, o l’infibulazione, o la sottomissione delle donne in Afghanistan, o lo schiavismo nell’America del XIX secolo, lo sterminio dei Maya e lo sfruttamento dei bambini in Cina sarebbe del tutto fuori luogo e addirittura ingiusta. Difatti, tutte queste pratiche sono, o erano, perfettamente legali secondo gli ordinamenti in vigore, quindi, secondo la logica dei relativisti morali, tali pratiche dovrebbero essere anche moralmente giuste. Pochi, tra i relativisti morali che conosco, accetterebbero di buon grado di approvare moralmente simili mostruosità.
Si appellerebbero ad una ipotetica incoerenza antropologica che impone di sospendere il giudizio se la cosa non ci riguarda direttamente, mentre quelli meno pigri intellettualmente insisterebbero nel dire che questi sono sì degli atti malvagi, ma solo perché li concepiamo con la nostra cultura storica. Ma, di grazia, è dato sapere con quali modelli, su quale piano filosofico, con che criteri, se giudicare le azioni umane è una questione relativa e non esistono norme assolute che possono essere usate per esprimere un giudizio? O tutti i principi morali sono relativi o, come nel caso dei positivisti logici ed alcuni altri, la moralità è semplicemente un gioco semantico che non ha un reale contenuto, oppure ci deve essere almeno un principio morale assoluto. Non si può sfuggire ad una logica tanto stringente.

Ma torniamo all’affondo. Se i relativisti morali volessero sostenere una filosofia coerente, si troverebbero costretti a dire che:
- Il cannibalismo è permesso se lo riteniamo moralmente corretto;

- Violentare un duenne è accettabile se ciò fa parte della nostra tradizione culturale;

- Stuprare la moglie è comprensibile se ciò è parte di un determinato sistema morale;

- Castrare giovani ragazzi è concesso se la pratica è diffusa tra un particolare popolo;

- La tortura è moralmente accettabile se è prevista dal sistema di diritto penale;

- Il sacrificio umano è consentito se è un’usanza di tal credo religioso;

- Certi gruppi etnici che altri gruppi etnici ritengono dannosi per loro stessi, possono essere sterminati se così prescrivono le credenze tribali di quei popoli;

- Hitler non dovrebbe essere giudicato moralmente riprovevole in quanto agiva legalmente secondo il codice giuridico del Terzo Reich;

- Stalin non agiva immoralmente quando ha ucciso milioni di persone innocenti perché applicava la legge vigente in Russia a quell’epoca contro l’opposizione politica al regime;

No, il relativista morale, tenuto conto dell’alta considerazione che ha di sé, difficilmente andrà in giro dicendo cose simili.
Se non c’è almeno un principio assoluto che possa essere usato nell’ulteriore sviluppo di un sistema di filosofia morale oggettivamente fondato, allora nessuna teoria potrà reggere.

E qui, finalmente, ritorno al proposito iniziale del post. Il relativismo morale è un mito. Cioè, nessuno crede realmente nel relativismo morale, malgrado ciò che si dice. Tutto quel che basta fare è dare uno sguardo alle azioni del relativista morale, non serve valutarne le teorie. Dichiararsi relativisti rende colpevoli di ipocrisia, giacché si afferma una cosa e si pratica il contrario. E l’ipocrisia non è difficile da svelare. Il relativismo morale è la psicosi intellettuale, l’impulso irrazionale di chi tenta di dare nuova forma alla realtà che non piace, e per pigrizia non si riesce ad afferrare. In definitiva, il relativismo è l’incapacità di accettare la realtà e di trattarla logicamente per quello che effettivamente è.
Ci deve essere almeno una norma razionale, oggettiva, attraverso la quale gli esseri umani possono giudicare se un’azione è giusta, corretta, appropriata. Certo, le norme possono essere più d’una, anzi, sarebbe consigliabile. Però, una almeno ci deve essere. E la scoperta di questa norma è in definitiva l’oggetto di studio di ciò che comunemente viene chiamata filosofia morale.



*Mutuo la definizione dal libro “I Nullafacenti” di Pietro Ichino, anche se qui è coniugata in modo del tutto particolare: mi riferisco alla visione olistica di chi rifiuta di affermare un principio specifico, e ritiene che sia in “benaltro” – cioè nel tutto, quindi nel nulla – che vada ricercata, semmai, un’approssimativa forma di realtà.

5 Comments:

Blogger Libertyfirst said...

Eh... il relativismo si scontra di fatto proprio contro la logica... forse è per questo che va di moda...

Ai relativisti sono sempre tentato di rispondere "vabbè, i valori sono relativi, quindi stai zitto e non farti più vedere"...

Il relativismo è l'apoteosi della sterilità concettuale...

5:54 PM  
Anonymous Anonimo said...

1. Ma come mai, a te detentore di principi assoluti, dà così fastidio il relativismo? Eppure chi ha una buona scorta di verità assolute dovrebbe avere poco a cuore le vicende dei poveri relativisti, persi nella nebbia del contesto.
2. Ma come mai questi principi assoluti sono così assoluti e chiari che si nascondono e non si rendono chiari e inconfutabili? Fai un miracolo e tagliamola qui, si dice a Gesù.
3. I principi assoluti esistono o DEVONO esistere altrimenti non si sa come costruire un sistema etico morale? La cosa getta una luce molto diversa sulla tua ricerca filosofica.
4. La logica deve avere delle falle se permette di sostenere sia il relativismo sia l'assolutismo, oppure i relativisti sono, come dici, dei grandi ingannatori. Ma a che pro? Qual'è il loro vero scopo? Sono solo infingardi? Oppure ottusi?
5. Giudicare dalle azioni e non dalle intenzioni: sono d'accordo, è un buon metodo. Fatti, non pugnette! Sarebbe interessante analizzare i comportamenti di un esemplare per ogni posizione morale e vedere in quante cose differiscono. Ma le nostre (le mie?) in fondo sono sempre chiacchere, intuizioni, pregiudizi e desideri di assoluto.

6:15 PM  
Blogger pietro said...

Volevo chiederti: nella realtà dei fatti tra un relativista che parla a vanvera e un assolutista che impone con la forza delle leggi dello stato i suoi principi morali tu trovi meglio l'assolutista?
La tua descrizione del relativista mi sembra abbastanza ad hoc, costruita per reggere con il resto del tuo discorso.
Non coincide con quella di Ruini.
Il problema concreto è che in Italia chiunque non sia sottomesso alla morale cattolica piu retrograda viene accusato di essere uno schifoso relativista.
Ma pensare che un azione si debba valutare in base alle conseguenze sulla libertà e sulla vita delle altre persone, che non esiste nessun principio morale che non possa essere criticato e distrutto se porta sofferenza morte e schiavitù, è così terribile?
Se per relativismo si intende l'assenza di norme morali sono daccordo con te, ci sono cose inate nella natura umana, ma se si intende la capacita rigettare ciò che si dimostra iniquo senza preoccuparsi particolarmente del fatto che qualcuno li consideri PRINCIPI UNIVERSALI INTOCCABILI, allora forse sono leggermente relativista.
Una csoa cosa volevo aggiungere, il primo esempio che hai fatto , sul cannibalismo mi ricorda una frase di quel l'essere immorale che rispondeva al nome di Voltaire.
Penso anchio che sia più rispettabile mangiare un nemico morto che bruciarne uno vivo, (l'inquisizione non era molto relativista).

11:06 PM  
Blogger H.I.M. said...

@ e.man:

1. Perchè, come dice LibertyFirst, considero il relativismo concettualmente sterile e forse anche la premessa del nichilismo, cioè dell'annientamento della civiltà. Però non sono così preoccupato come pensi, infatti mi pare di aver dimostrato che in realtà il relativismo non esiste.

2. Si nascondono i principi? e quando mai ho detto una cosa simile? semmai la mia è un'esortazione a scoprirli, ma questo non significa che i principi, animati da chissà quale alito divino, fuggano.
L'associazione tra principi e miracoli, poi, la capisci solo tu. :)

3. Esistono e sono ancora qui che aspetto che un relativista dimostri il contrario. Quel giorno (già detto anche questo) cambierò idea, promesso. Sono disposti irelativsti a cambiare la loro qualora non riuscissero a dimostrare che nulla è vero?

4. La logica non ha falle, il relativismo non esiste, è un mito, sono assolutisti anche i relativisti, ma non lo ammettono.

5.Non comprendo il significato di questo punto.

Io non ho particolari desideri di assoluto, anzi ti dirò che ci sono momenti in cui vorrei poter resettare tutto, ma non posso e ne prendo atto. Cerco solo di non mentire a me stesso persuadendomi di poter capovolgere la realtà.

Ciao.

11:19 AM  
Blogger H.I.M. said...

@pietro:

ehm... leggi dello stato? non vedo una grande differenza tra un relativista che mi impone per legge le sue chiacchere a vanvera ed un assolutista che mi impone le sue convinzioni etiche personali, forse è per questo che sono anarchico.
Non conosco nel dettaglio le opinioni di Ruini, quindi no so cosa risponderti. Ma, se come abbiamo visto, i relativisti sono la maggioranza, non capsico la preoccupazione per le critiche: però anche tu commetti l'errore di confondere convinzioni etiche personali (non mentire, non offendere, portare rispetto, non scopare a pecorina ed evitare fellatio e cunnilingus etc) con principi assoluti (non rubare, non uccidere, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te -e questa è di Confucio, i Vangeli l'hanno solo copiata).

Azione e principi sono due cose diverse, si può agire anche in disaccordo con il principio e d'altra parte mi pare assurdo che un principio sia in contraddizione con la natura umana, quindi il principio, di per sè, non "vuole" la sofferenza delle persone, la può magari causare, come cousa dolore la morte di una persona cara, ma hai voglia di criticare e distruggere l'inevitabilità della morte.

Concludendo, anche se vedo che hai colto il senso del post, mi permetto solo di precisare che se è QUALCUNO a considerare un princpio universale, allora difficilmente sarà realmente universale.
Per definizione un principio universale deve essere accettato da tutti, anche da chi a parole lo nega, tanto saranno poi le sue azioni a dimostrare il contrario.

Ciao

12:15 PM  

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