/* RSS ----------------------------------------------- */

martedì, febbraio 20, 2007

#ARTICOLO SU ICH

Ideas Have Consequences ha pubblicato un mio articolo.

"Ci sono poche parole, forse, il cui suono allieta l’animo quanto quelle di libertà e diritti. Basta chiedere a chiunque se è favorevole a questi concetti e con buona probabilità otterremo una risposta affermativa. Purtroppo, però, la maggior parte delle persone non possiede una visione chiara di cosa siano i diritti e in cosa consista la libertà. Basti pensare che molti sinceri sostenitori di tali convinzioni, quasi a prova della loro inossidabile fede, aggiungono sovente “non dobbiamo barattare i nostri diritti in cambio di sicurezza”, come se i diritti fossero separabili dall’essere umano. Si tratta di una costruzione mentale pericolosa, certo, ma mai quanto la distorsione del concetto di diritto messa in campo dalla cultura social-democratica per perpetrare la sua agenda politica."

Continua su IHC.

venerdì, febbraio 16, 2007

#ARTE E MERCATO

Caro Lettore,

Dalla Art Basel di Miami Beach fino a Bleecker Street, le forze del mercato sono entrate nella parola Arte con furia vendicativa, trasformando fiere e gallerie d’arte in luoghi di opulenza e di consumo sfrenato. Ogni settimana assistiamo all’incoronazione di una cosa nuova e luminosa dipinta terribilmente da qualche giovane che la venderà per centinaia di migliaia di dollari, se saprà usare stampa e pubblicità in modo astuto – date solo uno sguardo alle opere di John Currin e di Lisa Yuskavage per rendervi conto di persona.

Sempre più musei e gallerie cadono preda dei metodi e dei valori della cultura pop trascinando il mondo dell’arte in una caduta vertiginosa. Edwin Denby, cinquant’anni, fa scrisse al suo amico Willem de Kooning
(un maestro dell’Action Painting americana, N.d. H.I.M.),che le gallerie di New York erano diventate “passeggiate lussuose come un mercato degli schiavi” e gli echi di tale critica risuonano veri ancora oggi. La campagna per creare una “democrazia d’accesso” all'arte degrada la cosa che più cerca di celebrare? Nella storia di copertina di questa settimana, Jed Perl spiega che il mondo dell’arte ha perso l’orizzonte e cerca riparo fra le rovine.


Cordiali saluti,
Leon Wieseltier
Literary Editor
The New Republic


Questo è uno stralcio della newsletter che settimanalmente mi arriva da The New Repubblic, magazine neo-con dove, in tempi migliori, ovvero quando i neo-con ancora non avevano iniziato ad ammorbare il mondo con le loro farneticazioni, scriveva con prosa flamboiant uno dei miei idoli letterari, Mordecai Richler, autore della celebre “Barney’s Version” nonché fustigatore implacabile di politically correctness, benpensanti, liberals e conservatori, ancorché egli stesso appartenne con vivace insofferenza ad entrambe queste ultime due categorie (insomma era qualcosa di molto simile ad un libertario, forse troppo anticonformista per ammetterlo).
Ora, che l’arte contemporanea sia capace di immani cagate è fuori discussione. Basti pensare alle abominevoli creature di Maurizio Cattelan e alle ributtanti produzioni dei così detti YBA (Young British Artists) il cui capostipite è il macellaio Damien Hirst.
Tutta gente a cui manca la benché minima parvenza di sensibilità dell’artista e sembra più incline, invece, a squartare, vivisezionare, abrutire e violentare corpi, forme e colori nell’ostinato, quanto sterile, tentativo di mettere in scena le deformità umane.
Tuttavia, qui si parla delle responsabilità del mercato, come se questo fosse un protagonista nuovo e malvagio, sceso tra gli uomini per volontà di qualche Ente Supremo, con la precisa missione di scompigliare le carte, di confondere le menti, di erodere le fondamenta della cultura occidentale e della rettitudine morale.
Cerchiamo di essere realisti, che a rincorrere fantasmi nel buio si finisce per sbattere il muso. Che sia possibile giudicare un’opera d’arte da un punto di vista sia estetico che etico, non sarò certo io a negarlo. Che possa dare fastidio il fatto che i musei nazionali, finanziati coi nostri quattrini, anziché ospitare i grandi della pittura che dal barocco di Rubens al naturalismo di Caravaggio arrivano al lirismo di Burri ed Afro Basaldella, rincorrano le infantili provocazioni di giovinastri un po’ frustrati a cui sembrano più congegnali rasoi e liquidi organici vari piuttosto che pennelli e colori, nemmeno questo sono disposto a metterlo in discussione.
Ma che c’entra il mercato? Il mercato è la meta-dimensione in cui io offro e tu sei libero di prendere, oppure no. Nessuno ti impone di metterti in salotto una ragazza capovolta di Vanessa Beecroft, né ti si costringe a partecipare, con piglio pensoso, alla vernice di Sarah Lucas, men che meno è obbligatorio capire che minchia vorranno mai significare le “Monoforme” di Andreas Christen.
Lasciamo perdere poi che “l’infame cultura pop” ha prodotto dei veri e propri geni, uno su tutti Robert Rauschenberg che col suo linguaggio semplice ed immediato, scevro di toni polemici, ha messo a nudo l’inconsistenza di certo progressismo riportando la pittura al ruolo di strumento per indagare la realtà; ma vogliamo negare che artisti come i nostrani Luca Pignatelli o Luca Giovagnoli (per non parlare di Giorgio Celiberti o di Mirko Pagliacci) non possano fregiarsi del titolo di “maestro” solo perché nati nel "secolo breve"? L’arte è la rappresentazione della nostra società, piaccia o no è sempre stato così e sempre lo sarà. I neo-con hanno ragione sul fatto che il relativismo è dannoso per il nostro modello culturale, ma non è combattendone le proiezioni che si potrà difenderlo. Soprattutto non è mettendo in croce il mercato che si potrà tornare “agli antichi splendori”, anzi, il mercato è l’unico strumento che, semmai, potrà tenere in vita l’arte, come del resto ha sempre fatto.
Solo che oggi la committenza è cambiata: c’è chi vede gli spettri e chi nega la realtà. Stanno su sponde opposte, ma combattono la stessa inutile guerra contro la ragione, ma questo è un altro discorso.

giovedì, febbraio 08, 2007

#GLI STATALISTI NON CRESCERANNO MAI

I bambini hanno cibo, riparo, educazione e cure mediche garantiti (bene o male) dagli adulti.
Gli statalisti vogliono cibo, riparo, educazione e cure mediche garantiti per tutti.

I bambini vogliono le cose senza conoscere il valore del denaro e quando i genitori dicono “non possiamo permettercelo” pensano che mamma e papà siano crudeli ed incapaci.
Gli statalisti credono che il governo che non dà alla gente ciò che vuole sia crudele ed inefficiente.

I bambini credono che Babbo Natale sia reale e pensano che i “capi” siano buoni e saggi.
Gli statalisti credono nella bontà e nella saggezza dei loro capi, mentre gli adulti diffidano dei “capi” e preferiscono la loro propria saggezza e le proprie convinzioni.

I bambini non riescono a comprendere la diversità umana e credono che tutti provino gli stessi sentimenti che provano loro.
Gli statalisti pensano che lo stato possa fare tutti felici allo stesso modo e non comprendono che valori diversi, abitudini, e inclinazioni individuali vivono in un naturale ed inevitabile stato di disaccordo.

I bambini credono che chi non vuole giocare con loro sia cattivo.
Gli statalisti pensano che chi non vuole partecipare al loro gioco sia cattivo.

I bambini hanno bisogno che i genitori si prendano cura di loro come funzionari pubblici che si occupano dei loro elettori.
Gli statalisti vedono gli imprenditori che si occupano principalmente dei loro affari come pessimi genitori che trascurano i loro figli.

I bambini rimangono sconvolti quando qualcuno umilia, offende o ridicolizza i loro genitori.
Gli statalisti si indignano profondamente quando qualcuno critica lo stato.

I bambini non dovrebbero fumare, giocare con le armi o guidare l’auto.
Gli statalisti sono a favore del divieto di fumare, della proibizione dell’uso privato delle armi e del trasporto pubblico.

I bambini credono che i loro genitori abbiano potere e ricchezza infinita.
Gli statalisti vogliono che lo stato abbia potere e ricchezza infinita.

I bambini dovrebbero giocare, e non comportarsi da adulti.
Gli statalisti (progressisti) sono a favore della sessualità come gioco e di tutti i mezzi per evitare di diventare genitori.

I bambini meritano il nostro plauso se si impegnano nelle cose che fanno, a prescindere dai risultati.
Gli statalisti si aspettano il nostro plauso quando si impegnano nelle loro cose senza badare ai risultati.

#DON'T SAVE A PRAYER FOR ME

Che lo stato abbia un connotato religioso è fuor di dubbio. E, altrettanto fuor di dubbio, non per colpa del cardinal Ruini. Né di ingerenze di qualche altro loquace affabile prelato.

Lo stato ha un connotato religioso di per se stesso. Si (im)pone come dio. Ai suoi cittadini richiede un’irrazionale approccio fideistico. La religione secolare obbligatoria di cui si fa portatore è lo statalismo. Insegnato nelle scuole pubbliche.

Ha i suoi riti civici: elezioni, comizi, parate…

Ha i suoi templi: camere, municipi, seggi…

Ha i suoi dogmi: sovranità popolare, solidarietà nazionale, indivisibilità territoriale…

Ha i suoi simboli: bandiere, gonfaloni, stemmi.

Ha, pure, i suoi sacerdoti: politici, amministratori, burocrati…e le sue preghiere, le sue feste…tutto.

E non mancano neanche i comandamenti...


Continua su IHC.

mercoledì, febbraio 07, 2007

#DELLA VERITA' E DELLE SUPERSTIZIONI


L’unica facoltà di cui Dio o la natura (ai nostri fini sono la medesima cosa) ci ha dotato per scoprire e comprendere la natura del mondo, ed anche noi stessi, è la razionalità, ovvero la capacità di pensare e ragionare. Come ogni altra facoltà naturale, la razionalità può essere usata correttamente come pure in modo sbagliato: quando la razionalità è usata in maniera appropriata, le idee che formuleremo conseguentemente saranno razionali. Al contrario, quando la usiamo male le idee che ne risulteranno saranno irrazionali.

Le nostre convinzioni sono quelle idee che reputiamo essere vere, sicché quando queste derivano da un corretto uso della ragione le nostre convinzioni saranno sia razionali e sia vere. Quando invece le nostre convinzioni derivano da un uso non corretto della ragione, esse saranno irrazionali e false.
La definizione per le idee raggiunte irrazionalmente è: superstizioni.

La storia e i fatti del mondo spesso sembrano inesplicabili e le spiegazioni che ne danno gli intellettuali, le autorità e gli “esperti” sembrano surreali quasi quanto gli eventi che essi tentano di spiegare. In quest’epoca di grandi conquiste tecniche ed intellettuali in ambito storico, atti barbari, crudeli e distruttivi sono eventi all’ordine del giorno. Il mondo appare non più civilizzato, ma meno di quanto lo era anche solo 50 anni fa. Anche nel più civilizzato dei paesi, maleducazione, volgarità, e violenza prevalgono. Non solo questi atti provocano danni enormi alle persone e alle loro proprietà che li subiscono, ma sovente sono auto-distruttivi per chi li compie.

Tutto il comportamento umano è determinato da scelte individuali, ed ogni scelta è determinata da ciò in cui un individuo crede. Quegli individui le cui convinzioni sono vere, faranno le scelte che si conformano alla realtà. Al contrario, gli individui le cui convinzioni sono false, faranno scelte in conflitto con la realtà. Tutto il comportamento malvagio è causato in definitiva dall’ignoranza della verità, e l’ignoranza della verità è, come abbiamo visto, il risultato di ragionamenti inesatti.
All’origine di tutta la malvagità vi è pertanto la superstizione.

La superstizione ha permeato talmente a fondo la nostra società ad ogni livello, che il vero significato di verità è difficilmente compreso. Come facciamo a capire se le nostre convinzioni sono vere oppure no, se non sappiamo cosa sia la verità?

COS’È LA VERITÀ

Molti filosofi sembrano avere un rapporto difficile con la verità. Per loro, infatti, esistono molti tipi di verità:

- analitica vs sintetica
- necessaria vs contingente
- logica vs fattuale
- a priori vs a posteriori
- empirica vs non empirica

Nel mondo di questi filosofi, la verità non è mai assoluta e la realtà è colma di paradossi. Questo finché i filosofi fanno i filosofi. Quando invece sono genitori, la storia cambia. Mentre provano a dimostrare al mondo che la verità è impossibile da comprendere e stabilire in modo assoluto, puniscono i loro figli per aver trasgredito ad un ordine che gli avevano dato.

Quindi, ciò che noi intendiamo per verità è quello che i filosofi intendono per verità quando sono padri e madri o quando sono davanti al loro agente di assicurazioni.

Ma se la verità è così strettamente connessa alla realtà, come possiamo definirla esattamente?

REALTÀ

Per realtà si intende tutto ciò che è, nel modo in cui è.

La realtà è ciò che è, se nessuno sa ciò che così non è. La realtà include tutto ciò che è ed esclude tutto ciò che non è. Essa include tutto, non come una collezione a caso di cose senza rapporti tra loro, ma ogni entità, ogni avvenimento ed ogni rapporto che tra loro intercorre. Include anche le finzioni come finzioni, le allucinazioni come allucinazioni, i fatti storici come fatti storici e le cose materiali come cose materiali. La realtà non include le finzioni (come Babbo Natale) come fatti materiali o storici. Include il fatto che Babbo Natale è una finzione comunemente usata per far felici i bambini nel periodo natalizio. Non include omini verdi, alberi parlanti e sedie che volano, ma include il fatto che se una persona assume un certo dosaggio di LSD o di mescalina, molto probabilmente vedrà tutte queste cose credendo che siano reali.

VERITÀ

Per verità intendiamo ciò che descrive correttamente la realtà o qualunque aspetto di essa.

L’esempio seguente dimostra il significato sia di realtà che di verità.

Supponiamo di essere assetati e di trovare una bottiglia contenente un liquido incolore e inodore. Il liquido contenuto in questa bottiglia potrebbe essere sia acqua, sia un veleno mortale. Se decidiamo di bere quel liquido accadrà una delle seguenti due cose:

a) la nostra sete sarà gradevolmente appagata
b) soffriremo di un dolore straziante e moriremo

La realtà è ciò che il liquido nella bottiglia effettivamente è. La verità è qualunque cosa descriva correttamente quel liquido. Se il liquido è veleno, soltanto una proposizione che afferma che il liquido nella bottiglia è veleno è vera. Se crediamo che il liquido sia acqua e lo beviamo, moriremo. Se la maggioranza delle persone è convinta che quel liquido sia acqua e decidesse pertanto che si può bere, si capisce facilmente perché la malvagità –che deriva dalla superstizione- è così diffusa.
La verità non è determinata dalla convinzione, dal consenso, dai sentimenti o dalle percezioni. È determinata dalla realtà. È determinata da ciò che è così com’è. Non importa se nessuno ci crede. Nel nostro caso, la verità è determinata da ciò che c’è realmente nella bottiglia e soltanto una dichiarazione che descriva correttamente il suo contenuto rappresenta la verità.

#SUL LUNGO TERMINE

Mi ricordo una conversazione con un vecchio che coltivava alberi, nel mio paese. Io gli chiesi di vendermi un grande albero per il mio giardino. Egli rispose: "Tutti oggi vogliono grandi alberi. Li vogliono subito, senza curarsi del fatto che gli alberi crescono lentamente e ci vogliono tempo e fatica per farli crescere. Tutti oggi hanno fretta" concluse amaramente "e non so perché."
Keynes avrebbe potuto spiegarglielo: la gente pensa che a lungo termine sarà morta.


Bruno Leoni, "La libertà e la legge".

giovedì, febbraio 01, 2007

#PARADOSSI ECONOMICI

Perché i diamanti costano più dell’acqua? In fondo, l’acqua è vitale per la sopravvivenza umana e tuttavia basta entrare in un bar e chiederne un bicchiere per potersi dissetare gratis. In alcuni posti magari ci chiederanno 50 centesimi e subito non mancheremo di inveire contro quei bastardi che ci rapinano per un goccio d’acqua. D’altra parte, i diamanti che in definitiva sono solo delle pietre luccicanti usate come ornamento, se ci fossero offerti a 50 centesimi al bicchiere c’è da scommettere che ne saremmo ben lieti. Ugualmente, se ci presentassimo ad una giovane donna con un bicchiere d’acqua come regalo di fidanzamento, con buona probabilità ben presto diverremmo noi stessi il bersaglio di quel bicchiere.

Questo dilemma, noto anche come “paradosso dell’acqua e del diamante", è il cuore della scienza economica. Adam Smith ne “La ricchezza delle Nazioni” del 1776 individua la questione, ma propone una soluzione sbagliata. Egli, infatti, tenta di risolvere il problema sostenendo che ogni bene venduto sul mercato ha un valore d’uso ed un valore di scambio. Un diamante, quindi, ha un basso valore d’uso ed un alto valore di scambio, così come l’acqua ha un alto valore d’uso ed un basso valore di scambio. Smith supponeva che il valore di scambio di un oggetto derivasse dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo, tuttavia egli non si è mai avventurato nella stesura di una teoria che spiegasse concretamente il valore d’uso dell’oggetto.

La teoria del valore-lavoro, l’idea cioè che l’ammontare delle ore di lavoro richiesto per produrre qualcosa determini il valore stesso del bene, comparirà succesivamente negli scritti di Marx, molto probabilmente proprio perché il tentativo di Smith di trovare una soluzione al paradosso dell’acqua e del diamante si dimostrò del tutto insoddisfacente in quanto lasciava la domanda fondamentalmente intatta. Perché siamo disposti a concedere più denaro in cambio di beni dal basso valore d’uso? E soprattutto, perché esiste una dicotomia tra il valore d’uso e il valore di scambio?
Furono domande inevase come queste a dar vita a quella che fu una vera e propria rivoluzione nel pensiero economico, la rivoluzione marginalista, appunto.
In verità, altri pensatori prima di Smith provarono a dare una risposta al dilemma. Fra questi vi fu anche Galileo, che arrivò ad una soluzione vicina a quella marginalista un secolo prima che Smith rendesse nuovamente popolare la questione, pur contribuendo a fare ulteriore confusione al suo riguardo. Ma nessuno vi riuscì finché, grazie al lavoro di Carl Menger, non si dimostrò che il trattamento completo della questione è possibile solo in un contesto in cui sia universalmente applicabile un concetto di valore, ovvero il concetto di utilità marginale su cui è imperniata la teoria soggettiva del valore.

Per comprendere meglio la risposta marginalista al paradosso, immaginiamo di essere nel deserto. Dopo un giorno di vagabondaggio alla ricerca dell’oasi più vicina, ormai ad un passo dalla morte per disidratazione, un tuareg si avvicina. In una mano tiene una bottiglia di acqua, nell’altra un diamante grande come una mela. Ci chiede di scegliere una delle due cose ed ovviamente noi scegliamo l’acqua. Dieci minuti dopo, arriva un altro tuareg che ci fa la medesima proposta e noi nuovamente indichiamo l’acqua. La stessa scena si ripete per dozzine di volte nell’arco di poche ore, al punto che avremo una discreta riserva d’acqua e qualcosa inizierà a mutare nel nostro modo di pensare, fino a quando, gonfi come otri, opteremo per il diamante.

Questo semplice esempio è la dimostrazione della legge dell’utilità marginale. Tale legge stabilisce che quando possediamo più unità di un determinato bene, l’unità marginale – cioè l’unità del bene che non riteniamo indispensabile per soddisfare le nostre necessità – sarà da noi considerata di minor valore rispetto alle altre unità dello stesso bene che già possediamo. La spiegazione è molto semplice: destiniamo la prima unità di un bene all’uso più importante e pertanto gli attribuiamo un valore maggiore: useremo infatti la prima bottiglia d’acqua per mantenerci in vita, la seconda per mantenere un buon grado di idratazione, la terza per lavarci la faccia e la quarta per lavarci i vestiti. Rimanere vivi è più importante di indossare un diamante, ma possiamo tranquillamente rinunciare a lavare i nostri vestiti per un gioiello luccicante.
Non scegliamo mai tra tutta l’acqua e tutti i diamanti, ma soltanto tra l’unità marginale di acqua e l’unità marginale di diamanti. Se i tuareg del deserto venissero a farci la loro proposta al fresco del nostro appartamento climatizzato, non esiteremmo un istante e ci prenderemmo il diamante di gran corsa. L’uso marginale di una bottiglia d’acqua non è più per sopravvivenza, ma semplicemente ci risparmia la seccatura di alzarci per andare a riempire la bottiglia alla fontana. Nel mondo in cui oggi viviamo, l’acqua è talmente abbondante che il suo valore marginale è esiguo, mentre i diamanti, che sono scarsi, hanno un valore elevato.

La teoria dell’utilità marginale è uno strumento potente che può essere usato spiegare molti altri paradossi del mondo moderno. Ad esempio, perché Alvaro Recoba guadagna più di un insegnante di liceo? Forse, (sì, forse) ricevere l’insegnamento scolastico è più prezioso di guardare qualcuno che prende a calci un pallone. Tuttavia, se il mondo perde un insegnante, pazienza, ce ne sono fin troppi e gli effetti negativi sulla società sarebbero davvero irrilevanti – a voler essere cattivi, si potrebbe dire che la società ne trarrebbe solo benefici. Gli insegnanti sono meno scarsi (in termini quantitativi, of course) e più facili da sostituire rispetto ad un fuoriclasse del football. Gli studenti potrebbero essere semplicemente distribuiti fra le aule di altri insegnanti. Di Recoba, invece, ce n’è solo uno e quindi c’è scarsità di talenti sportivi come il suo. Gli insegnanti di liceo invece sono come l’acqua: “importanti”, ma abbondanti, mentre Recoba è un diamante frivolo, ma scarso.

Per concludere, il paradosso dell’acqua e del diamante è uno dei temi più intriganti dell’economia che ha stuzzicato per secoli l’interesse di studiosi e operatori, perciò se la prossima volta la vostra banca dovesse ancora rifiutarsi di farvi depositare qualche cassa di Ty-Nant, non chiedetevi il perché.

#HANDS OFF MKTG DIRECTOR

La pubblicità (adv) è forse l’aspetto della cultura capitalista più malignamente criticato al giorno d’oggi. “Non s’interrompe un’emozione” è l’urlo di battaglia dei moralizzatori che non sopportano l’irruzione di un volgare spot pubblicitario nel loro cult movie preferito. Per gli internauti la cosa sembra ancor più fastidiosa. Sebbene i browser ed i client di posta più diffusi siano oramai dotati di dispositivi per il blocco dello spam e dei pop-up che rallentano la navigazioni tra i siti internet, molte web communities fanno pressing sulle autorità statali affinché queste limitino per legge la diffusione degli annunci in rete.
I più agguerriti nemici dell’adv sostengono che esso incentivi il materialismo o addirittura che sia a fondamento del dannoso stacanovismo consumista che affligge la nostra società.
Anche fra gli economisti l’adv non gode di ottima fama. Lo definiscono “rent-seeking” derubricandolo come “uso improduttivo di risorse”. In sostanza, dicono questi illustri studiosi, si potrebbe fare tranquillamente a meno della pubblicità giacché essa non crea ricchezza, ma semplicemente causa una ricchezza fittizia mediante il sotterfugio. Nel fare pubblicità, insomma, vengono impiegate risorse reali che rappresentano una perdita oggettiva per l’impresa che se ne avvale senza che come controparte si determini un reale aumento della produzione.
Anche luminari dalle note inclinazioni libertarie come John Lott e Gordon Tullock si sono espressi negativamente sulla pubblicità.
Il giudizio unanime sull’advertising pare quindi inappellabile: si tratta di una creatura ignobile che va allontanata dal mercato.
Purtroppo (o per fortuna), il giudizio unanime a volte toppa. Certamente l’advertising non è un’attività “utile”; esistono aziende che non ne fanno uso e prosperano ugualmente - anche se da una più attenta analisi emergerebbe che tali imprese, più o meno volontariamente, adottano comunque delle strategie di mktg che, per quanto elementari, consentono il posizionamento di un brand o di un prodotto.
Tuttavia le conseguenze positive dell’adv sono innegabili. Si tratta, in effetti, dello strumento più efficace per promuovere un bene sul libero mercato.
Se prendessimo un economista “mainstream” di estrazione classica e lo teletrasportassimo in un mondo senza radio egli potrebbe sostenere che tale medium non può esistere senza la sovvenzione statale. Difatti, una volta che un segnale radio è stato trasmesso non ci sarebbe mezzo per forzare le persone a pagare per ascoltarlo. Ad un consumatore non può essere impedito di ascoltare la radio se rifiuta di pagare perché, in una determinata area, il segnale deve essere accessibile a tutti o a nessuno. Ma, nel mondo reale, l’adv che l’economista mainstream rigetta rappresenta l’ingrediente magico. Infatti, anziché far pagare gli ascoltatori, le radio fanno pagare gli inserzionisti pubblicitari affinché questi possano raggiungere i loro potenziali clienti attraverso gli spot che la radio trasmette. Così, mentre l’economista postula il fallimento del mercato per l’assenza della radio, i consumatori possono scegliere fra centinaia di stazioni gratis.

L’adv è la linfa vitale per le radio, le tv commerciali ed il free-press, ma è anche la ragione per cui i quotidiani, i news-magazine ed altri periodici sono venduti ad un prezzo inferiore a quello della carta su cui vengono stampati. L’adv abbassa inoltre i costi di abbonamento ai magazine, ma soprattutto riveste un ruolo fondamentale nell’era dell’informazione globalizzata.
Se volete sapere il nome della band che canta “Don’t tread on me” non dovete fare altro che digitare il quesito in Google e in meno di dieci secondi avrete la risposta senza scucire un cent. Perché Google fa tutto questo per voi? Forse perché è un’organizzazione di magnanimi filantropi che ha a cuore il vostro bagaglio culturale? O forse perché non ha bisogno di chiedervi soldi dato che li ha già ottenuti da chi espone quei piccoli annunci che stanno in cima alla vostra ricerca?